Gli spaventapasseri fondamentalisti
Amara Lakhous 1 marzo 2011

“La priorità numero uno è la prevenzione del fondamentalismo islamico e degli embrioni del terrorismo”. Così continua a ripetere il ministro degli affari Esteri italiano Franco Frattini da settimane, cioè da quando il vento della democrazia è iniziato a soffiare sul mondo arabo dalle piazze tunisine. Questa dichiarazione sembra copiata dai discorsi ufficiali dei dittatori arabi che per anni hanno ricattato tutti usando barbuti fondamentalisti pronti a trasformarsi in terroristi come spaventapasseri. Non è una novità quindi, se il colonnello Gaddafi ha attribuito la responsabilità delle proteste popolari nel suo paese a Bin Laden in persona.

Oggi, fortunatamente, la gente è più cosciente e attenta, quindi non cade facilmente nella trappola della paura. “I giovani di Tunisi – come scrive il mio amico scrittore tunisino Kamel Riahi – sono assetati di libertà e non vogliono certo consegnarla ai fondamentalisti. Guardate le foto delle manifestazioni: nessuna immagine di Che Guevara o di Mao Tse-tung, nessun Gandhi o Khomeini. Sono scesi in piazza per reclamare uno stato laico retto dalla tolleranza, dalla legalità e dalla libertà”. La realtà di queste settimane è che il malcontento apolitico e aconfessionale dei giovani tunisini ha rivelato il divario che li separa dalla generazione dei quarantenni, rimasti abbagliati dal discorso politico islamista. Il maggiore partito islamista tunisino, Al-Nahdha, il cui leader Rached Ghannoushi viaggia oggi sulla settantina, ha conosciuto una repressione durissima, in seguito alla quale non solo è sparito dal panorama politico-culturale tunisino, ma ha anche perduto la sua base giovanile.

Il divario generazionale si è notato anche sul versante degli intellettuali, la maggior parte dei quali negli anni sono stati attirati, vuoi con la lusinga vuoi con la minaccia, a schierarsi chiaramente per Ben Ali, tessendone le lodi ad ogni occasione, e firmando il documento di appoggio alla sua candidatura alle ultime elezioni presidenziali. A differenza di questi personaggi della cultura e dello spettacolo di regime, anch’essi di una certa età, che hanno tenuto un profilo basso o inesistente durante tutto il periodo della rivolta, i giovani artisti e intellettuali hanno fatto sentire la propria voce chiaramente, come nel caso del rapper “El General”, autore di un pezzo intitolato “Ya rayyes el Bled” (Comandante del Paese), che è stato arrestato subito dopo aver mandato il video in rete.

I simboli scelti dalla gioventù della piazza sono ormai altri: Mohammed Bouazizi, giovane fruttivendolo tunisino, laureato disoccupato, che si è dato fuoco in pubblico per protestare contro un’ingiustizia, preceduto in Egitto da Khaled Said, un ragazzo morto per le percosse ricevute in un commissariato di polizia di Alessandria d’Egitto il 12 giugno 2010. In entrambi i casi è stata messa sotto accusa la brutalità di un regime di polizia addestrato da decenni a non aver rispetto per i più elementari diritti dei cittadini. Il prestigio simbolico che in passato poteva avere un regime capace di presentarsi nei salotti buoni della diplomazia internazionale non ha alcun valore per la popolazione e soprattutto per i giovani, se a calcare la scena sono le stesse facce che hanno portato il paese al collasso sociale. L’ultimatum “o me o il caos” proclamato da Ben Ali e Mubarak nelle loro allocuzioni alla popolazione non poteva funzionare con una piazza gremita di giovani che gridava “Il popolo vuole la caduta del regime”.

Per molti versi quello che è successo in Tunisia ed Egitto e sta succedendo in Libia, Algeria, Bahrein e nello Yemen è qualcosa di mai visto, che potrebbe far dire che nel mondo arabo è finita un’era e ne sta iniziando un’altra. È tramontata la giustificazione della guerra al terrorismo e al fondamentalismo, usata dai regimi arabi e dai loro sostenitori occidentali per tenere in piedi sistemi totalitari durissimi con i propri cittadini. È finita quindi la famosa “eccezione araba”, secondo la quale gli arabi non sarebbero pronti per la democrazia e le dittature sarebbero un male minore indispensabile. I giovani arabi stanno dimostrando che la democrazia e i diritti umani non tollerano eccezioni.

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