La Francia, l’Algeria e la sfida del perdono
Khaled Fouad Allam con Alessandra Cardinale 9 May 2007

Molti commentatori e giornalisti algerini hanno scritto che i risultati delle legislative del 17 maggio sono scontati: trionferà il Fln, seguito dal Rassemblement National Democratique e dal Mouvement de la Société pour la paix. Dunque les jeux sont faits?

Probabilmente sì perché la situazione appare in un certo senso bloccata nel suo sviluppo democratico. Questi tre partiti formano il triangolo del sistema politico algerino. Il problema non sono tanto i partiti ma è la generazione che è sempre la stessa e questo, chiaramente, non assicura quel ricambio fondamentale per l’apporto di idee nuove che accompagnano sempre le nuove generazioni. Questo è il punto cruciale che l’Algeria dovrebbe affrontare.

Per ridare impulso al processo democratico algerino una strada da percorrere potrebbe essere l’approvazione di una riforma costituzionale che vedrebbe depotenziata la figura del Presidente a favore di un Parlamento con poteri più ampi. Cosa ne pensa?

Certo, ma sarebbe un piccolo passo del lungo processo di democratizzazione. Purtroppo l’Algeria è prigioniera di una visione giacobinista e totalizzante del potere e il sistema politico algerino è stato un po’ clonato su ciò che è stata la tradizione politica francese. Passare ad una struttura parlamentare sarà un processo molto lungo e difficile.

Alcune settimane fa, in campagna elettorale Nicolas Sarkozy, ora neo-Presidente della Francia, ha dichiarato che in merito alla guerra del ’54-’62, vuole “tourner le dos à la repentance”, ossia al pentimento. Come saranno i rapporti tra la Francia di Sarkozy e l’Algeria?

E’ vero che bisogna rompere con il passato ma ciò solleva il problema del perdono nella storia. Su questo sia la Francia sia l’Algeria dovrebbero aprire un dibattito. Il trattato di amicizia è rimasta lettera morta proprio perché non si vuole approfondire il tema del perdono e di una presenza, quella francese, che non è durata dieci anni ma 132, durante i quali ci sono stati dei crimini coloniali. Non si può ricominciare la storia se non attraverso il ruolo e la funzione del perdono, valore essenziale per l’amicizia tra due popoli.

Il Gspc, gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, si è da poco ribattezzato Organizzazione di Al Qaeda nei paesi del Maghreb. Alla luce degli ultimi due attentati ad Algeri dello scorso 11 aprile in cui 33 persone sono morte, secondo lei, al Qaeda sta estendendo il suo raggio d’azione?

Certo è un’estensione che va dal Maghreb al Mashrek. E’ un’operazione comunque prevedibile, perché nei testi di al Qaeda è scritta la loro intenzione di sviluppare “una rivoluzione islamica internazionale” nei paesi islamici. I recenti attentati in Algeria, in Marocco e nel Maghreb corrispondono alla loro strategia eversiva di estensione.

Sull’Algeria pesa l’incertezza del dopo-Bouteflika, da anni malato. E’ d’accordo che se il Presidente dovesse perdere il potere per motivi di salute si aprirebbe una forte crisi?

Il sistema di tipo presidenziale, come quello in Algeria, con una forte tendenza alla personalizzazione politica, crea il problema del ricambio. In questo senso, il passaggio ad un sistema parlamentare renderebbe questi momenti meno traumatici.

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