Il Cairo, Egitto
L’Egitto fa il tifo per Hamas. Non le autorità, i vertici, il partito al potere, ma il cuore del paese, l’opinione pubblica, le opposizioni – laica e religiosa – sostengono il Movimento di resistenza islamico, e seguono le sofferte vicende della Striscia di Gaza con attenzione. Ne è prova, per l’ennesima volta, la reazione indignata che ha suscitato poco meno di un mese fa la stretta di mano fra Mohammed Tantawi, massima autorità religiosa della Moschea universitaria di Al Azhar, punto di riferimento di tutti i musulmani sunniti nel mondo, e il presidente israeliano Shimon Peres.
La foto dell’incontro, avvenuto negli Stati Uniti nell’ambito di una conferenza internazionale, ha avuto grande rilievo sulla stampa israeliana (che ha riferito i dettagli del colloquio privato), e, in Egitto, su quella indipendente e dell’opposizione. Da allora il Grande Sheikh è nell’occhio del ciclone, fra dichiarazione imbarazzanti e smentite: al momento della stretta di mano, Tantawi non sapeva di avere di fronte il presidente di Israele – ha dichiarato successivamente nel tentativo di difendersi –, così come non era a conoscenza del fatto che una parte del territorio palestinese fosse sotto l’assedio dell’esercito di Tel Aviv.
Alla massima autorità di Al Azhar, gli analisti politici rimproverano la dipendenza dal potere politico – si tratta infatti di una carica di nomina governativa – e l’incapacità di assumere posizioni in contrasto con quelle della presidenza Mubarak. “Troppo piccolo per la posizione che occupa”, ha scritto di lui recentemente Wahid Abdoul Magid, analista del Centro Ahram per gli studi strategici e politici. Ma c’è da dire che non è tutta colpa di Tantawi se i suoi scivoloni risultano particolarmente irritanti in questo periodo: da quando, nel gennaio del 2008, l’assedio di Gaza è stato rotto con la forza da migliaia di cittadini palestinesi riversatisi in territorio egiziano per comprare beni di prima necessità, l’opinione pubblica è ancora più sensibile sul tema, e ancora più vicina emotivamente a quelli che sono apertamente chiamati i fratelli della Striscia.
Non si parla più di Cisgiordania. Ora discutere di questione palestinese equivale a dire: Gaza isolata dal mondo, Hamas scelto dagli elettori ed espropriato illegittimamente da Fatah, Abu Mazen presidente fantoccio. Lo pensa il cittadino medio, l’impiegato, l’insegnante, il fruttivendolo, il calzolaio. Non è necessario sentirsi vicini al pensiero politico della Fratellanza musulmana, sorella maggiore di Hamas, per avere opinioni analoghe al movimento islamista in materia di rapporti fra Israele e Territori palestinesi: non c’è cittadino egiziano che non critichi la classe politica per l’alleanza con Washington e, di conseguenza, per la ‘tolleranza’ nei confronti di Tel Aviv. Niente è cambiato rispetto al 1981, quando il presidente Anwar Saadat venne ucciso proprio in conseguenza della sua apertura nei confronti di Israele e per il trattato di pace siglato nel 1979.
Un trattato continuamente rimesso in discussione durante accese sedute dell’Assemblea popolare, la Camera bassa del Parlamento, in cui i deputati della Fratellanza, eletti come indipendenti e riuniti nel cosiddetto Blocco degli 88, difendono la causa palestinese e chiedono una revisione degli accordi di pace. Senza alcuna speranza di riuscire a influenzare la politica estera del Governo, ma rafforzando comunque il proprio ruolo di fronte all’opinione pubblica. Intanto, al di fuori del Parlamento, il movimento di matrice islamista si è distinto di recente per l’organizzazione di un convoglio diretto a Gaza in occasione dell’Aid Al Adha, la seconda festività per importanza nell’Islam: lo scorso 6 dicembre, le forze di sicurezza egiziane hanno impedito che la carovana di camion, carichi di beni di prima necessità, partisse.
Ma in questi giorni un tribunale del Cairo ha dato ragione agli organizzatori e condannato ad un risarcimento la polizia e il ministero degli Interni. Del convoglio facevano parte anche giudici, avvocati, giornalisti, deputati, a dimostrazione di quanto i Fratelli musulmani, e di riflesso anche il sostegno ad Hamas, siano trasversali all’interno della società egiziana. Mentre la diplomazia egiziana conferma il proprio ruolo di mazziere a più tavoli – quello per il prolungamento della tregua fra Hamas e Israele, e quello fra Fatah e Hamas per il mandato di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ormai in scadenza – la tensione rimane alta nelle università pubbliche egiziane: ogni giorno la polizia arresta giovani attivisti politici, spesso affiliati ai Fratelli musulmani. Per loro manifestare contro Israele, gli Stati Uniti o Mubarak è ormai la stessa cosa.