Egitto: quali prospettive per un dialogo tra copti e musulmani?
Azzurra Meringolo 16 agosto 2011

Sedute al lato di un marciapiede, parlando sopra il rumore delle macchine che continuano a suonare il clacson, Christine e Nancy Fahmy raccontano alla telecamera del quotidiano egiziano Al-Masry al-Yaoum perché da giugno sono scappate di casa. «Me ne sono andata per raggiungere il Cairo e conoscere meglio l’Islam» dice Christine, sedicenne. «Voglio dire ai miei genitori di lasciarmi in pace» aggiunge sua cugina Nancy, quattordicenne. Entrambe, scomparse misteriosamente due mesi fa, riappaiono con la testa coperta da uno scuro hijab, indumento comune per le donne egiziane di religione musulmana. Prima della loro scomparsa Christina e Nancy erano però due adolescenti di credo cristiano, appartenenti alla minoranza copta del paese, circa il dieci per cento della popolazione egiziana. Alcuni sospettano che queste due giovani siano state rapite e costrette a convertirsi all’Islam da gruppi estremisti che dalla caduta di Mubarak avrebbero iniziato a reclutare nuovi fedeli per imporre la shari’a, legge islamica. Ma le ragazze, con tono timido, continuano a negare.

«La shari’a non può essere imposta, deve essere accettata dal Parlamento e anche dalla società che poi la pratica. Chi pensa che l’Egitto cambierà dall’oggi al domani si sbaglia. L’identità islamica è già presente nelle strade del paese e tutto quello che accadrà in futuro avverrà gradualmente e conformemente alla volontà della società» spiega Rafiq Habib, vicepresidente copto di Libertà e Giustizia, il neonato partito del Movimento islamista della Fratellanza Musulmana. Rosario in mano, orecchio teso a vedere se i suoi colleghi ascoltano quello che dice quando parla di musulmani, cristiani e transizione politica, Rafiq Habib non è preoccupato dal rischio di una deriva islamica conservatrice. «Il problema è che tutti pensano che a un certo punto la Fratellanza scenderà in strada per implementare con la forza la shari’a, ma non sarà così. Attualmente il mio partito si preoccupa di questioni pratiche relative alla ripresa del paese e all’interno della Fratellanza ci sono delle differenze che sono sempre più visibili in questa nuova fase.»

Potrebbe sorprendere qualcuno sapere che il vicepresidente di Libertà e Giustizia, il primo partito dalla Fratellanza costretta per decenni ad agire in clandestinità, è un copto. Eppure è proprio così: il professor Rafiq Habib, accademico che da tempo studia il pensiero islamico, è un cristiano che ha accettato di lavorare con il nuovo partito islamista credendo che in questo momento Libertà e Giustizia possa rappresentare il nucleo portante della società egiziana. «Attualmente la cultura musulmana può essere uno strumento attraverso il quale trovare dei valori condivisi che siano in grado di rafforzare la società polverizzata negli ultimi decenni dal regime che voleva tenerci separati. I suoi valori portanti sono condivisi dalla maggioranza della popolazione egiziana» spiega Habib.

La storia di Nancy e Christine, e di tante altre ragazze improvvisamente convertitesi all’Islam negli ultimi mesi, non deve fare pensare che il problema settario sia qualcosa di nuovo, anzi tale questione preoccupa la società egiziana dagli anni ’70. Nel corso degli ultimi trent’anni, invece di risolvere il problema, il vecchio regime ha cercato di usarlo per rafforzare la sua autorità presentandosi come l’unico in grado di trovarvi una soluzione. Basta pensare alla strage di Capodanno compiutasi davanti alla chiesa dei santi di Alessandria. Ufficialmente, aveva dichiarato il regime, si era trattato di un attacco condotto da istanze estremiste intolleranti nei confronti della minoranza copta, ma negli ultimi mesi si è scoperto che dietro l’organizzazione di questo attacco ci sia stata la mano del ministero degli interni. A morire, a causa dello scoppio di un’autovettura parcheggiata fuori dalla Chiesa, sono stati più di venti fedeli in uscita dalla funzione.

«Dopo la rivoluzione, noi egiziani abbiamo maggiori possibilità di trovare una soluzione perché nascerà una società forte e coesa che affronterà il problema, ma noi cristiani non dobbiamo avere paura» dice Rafiq, il primo cristiano ad essere stato intervistato dalla rivista on line di Jamaa al Islamiyyae e docente i cui scritti sono stati letti da numerosi membri della Fratellanza anche quando erano in carcere.

Ciononostante, più diventa visibile il potere della Fratellanza e di altre istanze islamiste, più aumenta la paura della Chiesa copta, che, temendo un risveglio islamico, aveva già preso le distanze dalle manifestazioni che hanno poi portato alla caduta del regime di Hosni Mubarak, chiedendo ai suoi fedeli di non creare disordine. «La Chiesa ha molta paura, ora più di prima. Pensa, erroneamente, che i musulmani siano contro di loro. Percepisce i movimenti islamici in modo errato. Pensa che la Fratellanza sia come Al-Qaida, ma sappiamo tutti che non è così», dice Rafiq. «Prima c’era solo un gruppo al potere con il quale confrontarsi, ma ora i cristiani devono iniziare a interagire con diversi attori politici, devono saper dialogare con loro per discutere su quali valori trovare un punto di intesa. Adesso i cristiani hanno la responsabilità di diventare realmente attivi, di interagire nella vita quotidiana del paese. Non dovrebbero temere questo ruolo, ma approfittarne per partecipare alla costruzione del paese. Spero che il mio lavoro serva anche a questo. Ovviamente la maggioranza dei fedeli cristiani non accetta quello che faccio, ma una minoranza lo apprezza, capendo il ruolo di mediatore che sto cercando il giocare per il mio paese. Ma non tutti criticano la mia scelta. Ci sono cristiani che, come me, pensano che il dialogo con i musulmani non solo sia possibile, ma sia alla base della nuova società che vogliamo costruire.»