Uno degli strumenti utilizzati dall’Ida è il Deliberative Poll, messo a punto dal politologo James Fishkin di Stanford, attraverso il quale l’istituto di ricerca della Ryan è in grado di misurare il cambiamento di opinione di gruppi di cittadini su temi pubblici cruciali, prima e dopo sessioni informative in cui pool di esperti illustrano pareri diversi e concorrenti. E proprio sui rapporti tra immigrati musulmani e nativi in Australia che l’Ida ha svolto di recente (marzo 2007) un importante sondaggio informato. Dopo aver raccolto l’opinione non informata di 1401 australiani e 160 musulmani in merito al rapporto tra musulmani e non, e all’eventuale pericolosità dei primi, un sottogruppo dei due campioni è stato sottoposto a un weekend di discussione, con docenti e personalità pubbliche di alto profilo (parlamentari di opposte fazioni ma anche l’arcivescovo di Sidney George Pell e il leader musulmano Taj Din al-Hilali). I risultati? Sorprendenti. Gli australiani hanno scoperto che, a dispetto di quanto credessero, i musulmani sono solo il 2 per cento della popolazione, e la maggioranza tra loro ha cambiato idea sul rapporto tra immigrati, terrorismo e rischio per la sicurezza.
La lezione australiana suggerisce alcune indicazioni per la possibile risoluzione di una querelle tutta italiana, quella scatenatasi sull’ipotesi della costruzione di una moschea a Bologna, e la conseguente proposta del sindaco Sergio Cofferati di effettuare un sondaggio popolare cui affidare la decisione. Molte le critiche arrivate alla proposta dell’ex leader Cgil: perché infatti, affidarsi a un sondaggio comune su un tema così delicato? È evidente infatti che i cittadini bolognesi, se non adeguatamente informati, difficilmente daranno il loro assenso ad una proposta del genere. “È possibile che non la diano lo stesso”, commenta Pamela Ryan, “ma se vengono interrogati usando semplici sondaggi di opinione, certamente le loro conclusioni saranno basate su informazioni e conoscenze molto scarse e su nessuna vera interazione coi musulmani”.
Come commenta la decisione di Cofferati di fare un sondaggio popolare su un tema come la costruzione di una moschea?
In base alla nostra ricerca, durata 18 mesi e volta a investigare le relazioni tra musulmani e non musulmani, i cittadini, sia la popolazione in generale che i musulmani residenti in Australia, hanno espresso giudizi che rivelavano una scarsa conoscenza dell’Islam e dell’arena politica in generale. Ma gli australiani non sono certo soli in questo. La scarsa conoscenza politica è assai diffusa in tutto il mondo! In genere, i giudizi sono emessi a partire da una posizione di “ignoranza razionale” (con la quale si intende la decisione di restare ignoranti in base alla convinzione che la propria opinione non conti, ndr) e di scarsa disponibilità ad informarsi e a manifestare le proprie opinioni. Queste ultime finiscono per formarsi su scarsa ed episodica conoscenza degli argomenti in causa. A riguardo della questione moschee, poi, i giudizi scaturiscono quasi sempre da stereotipi e paura.
In questo caso un sondaggio informato sarebbe stato più appropriato?
Il Sondaggio Informato cerca di ovviare all’ignoranza razionale, alle resistenze verso una conoscenza adeguata e in generale ai difetti che ineriscono sia ai normali sondaggi di opinione che ai tradizionali focus group. Ai cittadini viene data l’opportunità di essere informati sul soggetto preso in considerazione: essi possono infatti analizzare tutte le visioni concorrenti su quell’argomento, ricevere risposte alle loro domande da opposti punti di vista, infine dibattere tutte le diverse nuance del tema con i loro concittadini. In questo modo, hanno il tempo di pesare sistematicamente gli argomenti concorrenti e di emettere conclusioni ponderate. Il Deliberative Polling mette così in condizione i cittadini di prendere decisioni informate su temi che riguardano da vicino le loro vite, il loro stato e la loro nazione.
Quali sono i vantaggi di un approccio deliberativo in casi di argomenti controversi legati al problema difficile dell’integrazione tra nativi e popolazione immigrata?
Il nostro Sondaggio Informato sulle relazioni tra musulmani e non musulmani ha chiaramente mostrato che quando i cittadini interagiscono tra loro, apprendono la cultura dei cosiddetti “altri” e arrivano a conoscere l’”altro” (in particolare se gli “altri” sono tanti); questo apprendimento taglia le gambe alla paura e abbatte gli stereotipi. La nostra ricerca ha mostrato che gli atteggiamenti degli australiani sono paradossali: essi amano il multiculturalismo in teoria, credono che sia una cosa buona per il loro paese, ma vogliono un multiculturalismo come lo vedono ora: immigrati che parlano in maggioranza inglese, e di origine europea. Sono invece più guardinghi verso gli immigranti provenienti dall’Asia, dal medio oriente o da altri paesi europei. In particolare, hanno timore che questi ultimi cambino il loro paesaggio fisico e culturale (ad esempio, appunto, costruendo moschee). Eppure, una volta correttamente informati, sia i gli australiani musulmani che non hanno mostrato di apprezzare maggiormente le religioni degli altri, focalizzandosi sulle somiglianze piuttosto che sulle differenze. Inoltre, erano assai più consapevoli dell’umanità comune che attraversa tutte le culture e religioni, e in generale meno inclini ad avere paura della differenza, in particolare quella che si riflette nel vestire e nei luoghi di culto.
Che cos’è l’Ida e quali sono i suoi obiettivi culturali e politici?
L’Ida è un istituto di ricerca e un think tank di politica pubblica indipendente e imparziale. Il nostro obiettivo è di condurre ricerche consultive rigorose che influenzino la politica su temi complessi, difficili e controversi. A riguardo del progetto sulle relazioni tra musulmani e non, il nostro obiettivo era quello di iniziare un dialogo nazionale informato che potesse esaminare la paura e gli stereotipi, in modo da aiutare a ridurre il razzismo e condurre programmi costruttivi e concreti volti ad accrescere le relazioni e la conoscenza interculturali.
Qual era l’obiettivo del vostro Sondaggio?
Australia Deliberates: Muslims and non-Muslims in Australia era un vasto progetto di 18 mesi, che includeva: consultazioni individuali con più di 100 esperti, quattr’ore di focus group deliberations con più di 200 musulmani australiani provenienti dalle città principali, un sondaggio nazionale di 160 australiani musulmani, un sondaggio nazionale di 1401 australiani non musulmani, il Sondaggio Informato nazionale (effettuato con due sottogruppi di 330 persone e 41 rispettivamente tra gli australiani e i musulmani sottoposti a sondaggio).
Il risultato è stato positivo?
Come ho detto, il nostro obiettivo era quello di iniziare un dialogo informato volto a ridurre il razzismo e ad accrescere le relazioni e la conoscenza interculturali. Ci sentiamo molto ottimisti sui risultati. Il dialogo “informato” è stato ben avviato e le attività di educazione interculturale sono in pieno sviluppo. Tutto ciò proseguirà attraverso la proiezione di un documentario – che includerà la versione più breve dell’ Australia Deliberates Final Report – sulle reti televisive, nei Parlamenti federali e in quello statale, nelle corti giudiziarie, nelle scuole e nelle istituzioni sparse sul territorio. Una più ampia copertura mediatica – dai programmi australiani su reti televisive pubbliche e commerciali, a quelle internazionali, per esempio Al Jazeera – contribuirà a raggiungere l’obiettivo.
In che modo il Sondaggio Informato ha dato un contributo all’integrazione tra musulmani e non?
Entrambi, musulmani e non, hanno appreso informazioni gli uni dagli altri, sono arrivati a conoscersi ed esaminare gli argomenti analizzati dalla prospettiva opposta. Il progetto ha affrontato il problema del razzismo in un modo non terrorizzante, e così facendo ha aiutato gli australiani ad esaminare le loro opinioni, obbligandoli a riflettere sul loro comportamento verso gli altri, specie coloro che sono diversi.
Al di là dei sondaggi informati, quali sono gli altri strumenti a disposizione per orientare l’opinione pubblica verso una comprensione e accettazione della diversità?
Rispondo brevemente: programmi di istruzione interculturali e una massiccia informazione pubblica. Ma soprattutto: un’educazione dei media/giornalisti/politici/leader religiosi, affinché presentino un ritratto più equilibrato e meno stereotipato dell’Islam in Occidente, e viceversa dell’Occidente nei paesi islamici.