In Europa si è riacceso il dibattito sulla presenza musulmana a seguito del referendum in Svizzera contro la costruzione di nuovi minareti, un po’ come in Italia si è discusso del crocefisso nelle aule. Qual è la sua opinione in merito?
In ambedue i casi il problema è del marchio religioso nella sfera pubblica. La questione di questi marchi religiosi è che, in realtà, sono anche marchi culturali e non solo religiosi. Se prendiamo il crocefisso, per esempio, il governo italiano alla corte di Strasburgo sosteneva che fosse un simbolo puramente culturale, ma questa posizione non poteva essere sostenuta dalla Chiesa cattolica, per la quale il crocefisso è un marchio religioso. Siamo quindi di fronte a una contraddizione che imbarazza anche la Chiesa, che non può per esempio sostenere la posizione della Lega nord, che dà al crocefisso un valore puramente politico e identitario, anche se è nell’interesse della Chiesa stessa riavere i crocefissi nelle aule scolastiche. Così in Svizzera è lo stesso: la campagna contro i minareti era una campagna contro gli immigrati, gli stranieri; quindi per coloro che hanno votato contro i minareti, cultura e religione sono la stessa cosa.
C’è un reale rischio di islamofobia in Europa?
L’islamofobia in Europa occidentale si basa su due tendenze diverse, la cui alleanza rende l’islamofobia forte e politicamente attiva. La prima tendenza è l’identità cristiana. Il credo che l’Europa abbia radici cristiane, che, beninteso, non ha nulla a che fare con la fede religiosa. Questa è la posizione della destra conservatrice tradizionale. Anche la Lega nord italiana non va in Chiesa, ma legge la Chiesa come parte della propria identità. Quindi queste persone sono generalmente xenofobe e anti-islamiche. La seconda tendenza è quella della sinistra laica, che è contro l’islam non tanto perché è la religione degli immigrati, ma perché è una religione, e a qualunque religione si opporrebbe. Finora il ventesimo secolo in Europa è stato segnato dal dibattito tra la destra cristiana e la sinistra laica. Ma ora non sono più forze contrapposte.
Quale sarà, secondo lei, lo sviluppo futuro di queste tendenze?
Il dibattito non coglie la realtà, perché sia la società secolare sia quella cristiana vivono cultura e religione come fossero la stessa cosa. La sinistra laica vuole che i musulmani smettano di essere musulmani per essere integrati. Si pensi alla reazione della sinistra laica francese quando alcuni musulmani di seconda generazione hanno ripreso a indossare il velo e sono tornati alla moschea. Per la sinistra questo è stato un tradimento, e il pensiero comune era “noi abbiamo accettato i vostri genitori, ma ora voi dovreste essere come noi”. La sinistra vorrebbe relegare tutte le religioni alla sfera privata. Ma ciò che sta avvenendo è un distacco tra religione e cultura: l’islam dei giovani non è l’islam tradizionale, le seconde generazioni hanno riformulato l’islam e l’hanno riformulato in termini occidentali. Ma questa riformulazione non porta necessariamente ad una versione liberale dell’islam. Così, io credo che l’integrazione avvenga attraverso una riformulazione dell’islam come religione e basta, e non come insieme di religione e cultura.
Qual è dunque il maggior problema che i giovani musulmani di seconda generazione trovano in Europa?
Io credo che il problema principale sia la congiunzione di due elementi: il razzismo tradizionale, basato ad esempio sul colore della pelle, e un diffuso sentimento antireligioso. Anche se pensiamo alla nostra società come ad un blocco omogeneo, ciò non è vero. Il ventesimo secolo in Europa occidentale è stato un secolo di lotta per la cultura: guerre civili, comunisti contro capitalisti, laicità contro religione, ecc. Cosa può voler dire “integrazione” in una società di questo tipo? Noi viviamo in società profondamente differenziate, e la differenziazione sta aumentando sempre più, non solo per l’immigrazione, ma per una maggiore diversità religiosa. Molte persone si convertono in tutte le direzioni. E la religione sarà un altro terreno di lotta nei prossimi anni.