Questo è il testo presentato dall’autore ai Seminari di Istanbul, organizzati a Istanbul da Reset Dialogues on Civilizations dal 2 al 6 giugno 2008. La versione italiana, tradotta da Anna Bissanti, è stata pubblicata dal quotidiano La Repubblica il 12 giugno 2008 a pagina 29.
Si discute molto e animatamente di questi tempi se l’ Islam – e non solo l’ Islam wahhabita o salafita e nemmeno quello fondamentalista, ma l’ Islam in toto – sia o non sia una religione refrattaria alla democrazia. Refrattaria dunque non soltanto alla libertà, al pluralismo e alla società aperta, ma alla modernità stessa, così come la caratterizzano i suoi valori liberali. La forma mentis alla base del concetto ormai screditato di "scontro di civiltà" formulato da Huntignton, secondo il quale Oriente e Occidente sarebbero impegnati in uno scontro violento per la sopravvivenza, di fatto è evidente e onnipresente nella politica e nei media occidentali. La si ritrova infatti nell’ accanita conduzione di una guerra disastrosa all’ "Asse del male" da parte di Bush. Ma si trova anche nelle parole di Donald Rumsfeld per il quale il fondamentalismo islamico è «una nuova forma di fascismo», e ancora negli eventi psicopatici della destra quali la "Settimana della consapevolezza islamofascista" di David Horowitz.
Questo modo di ragionare si riflette perfino nelle parole di liberal quali Paul Berman, che spiega come l’ Occidente sia «accerchiato da terroristi appartenenti a movimenti musulmani antidemocratici, che hanno già massacrato un numero impressionante di persone», oppure di studiosi come Bernard Lewis che annunciano con una leggerissima sfumatura di compiacimento che «il mondo islamico è diventato povero, debole e ignorante», e ancora nelle idee di musulmani apostati come Ali Hirsi, che a un richiamo apparentemente liberal ai valori del femminismo associa un ripudio completo non esclusivamente del fondamentalismo, ma dell’ Islam nel suo insieme. Illustrerò chiaramente sei motivi – alcuni storici, altri sociologici, altri ancora filosofici – tutti ragionevoli e sensati nell’ accezione più ampia della logica, dai quali si deduce che è assurdo ritenere che l’ Islam non possa accogliere la democrazia o che la democrazia non ci concili con l’ Islam.
Punto primo: di per sé non è l’ Islam ma la religione tout court a collocarsi in una situazione di tensione nei confronti del laicismo e della democrazia, tensione che in una libera società è salutare e non negativa. Le Due Città di S. Agostino e la "Dottrina delle due spade" di Papa Gelasio parlano di un mondo corporeo e di un mondo spirituale, del temporale e dell’ eterno, del terrestre e dell’ ecclesiastico. La contrapposizione tra morale e politica, e tra legge divina o naturale e legge positiva, si sposta così nella contrapposizione tra Chiesa e Stato che provoca tensioni problematiche ma pur sempre salutari e costruttive in qualsiasi società.
Punto secondo: i sociologi, da Tocqueville a Durkheim a quel sociologo americano della democrazia che è Robert Bellah, sostengono che le libere società nascono da presupposti religiosi, che danno loro stabilità e concedono loro perfino il lusso della divergenza politica. È proprio la religione il fondamento delle nazioni democratiche, ed è la religione che tiene uniti popoli che altrimenti potrebbero fatalmente separarsi in conseguenza delle loro differenze economico-sociali e delle loro divergenze politiche.
Punto terzo: come il cristianesimo e altre religioni, anche l’ Islam è una religione praticata in molte culture e società, è eterodossa, differenziata in più categorie, è scismatica e pluralistica. Del 1,3 miliardi di musulmani soltanto il 15 per cento circa è arabo, ma sarebbe difficile quantificare gli occidentali che effettivamente sanno che la stragrande maggioranza dei musulmani risiede in India e in Indonesia. Perfino Bernard Lewis scrive la sua storia del "declino" dell’ Islam dall’ ottica del Medio Oriente, in primis degli Ottomani.
Quarto punto: mentre ci piace fingere che in epoca moderna la religione è e dovrebbe essere privata, parrocchiale e convenzionalista, essa rimane pubblica, universale e moralista. I Dieci Comandamenti che sono il presupposto della legge mosaica devono essere intesi come individuali o universali? Un predicatore puritano del XVII secolo di nome Prynne scrisse un trattatello per indottrinare i suoi parrocchiani e spiegare loro che tra i passatempi riprovevoli e le attività proibite c’ erano «i balli promiscui effeminati, il gioco d’ azzardo, il teatro, le immagini oscene, i costumi licenziosi, il trucco, l’ alcol, i capelli lunghi, i tirabaci, le parrucche da uomo, i boccoli femminei, le pettinature incipriate ed elaborate, i falò, i regali per il Nuovo Anno, gli svaghi del calendimaggio, le pastorali amorose, la musica depravata ed effeminata, le risate smodate, e le celebrazioni natalizie fastose e sregolate». Questi furono gli albori talebani del puritanesimo, più o meno al tempo in cui i coloni si stabilirono nel New England immettendo l’ America sulla strada di un Commonwealth puritano e in seguito, più avanti, di una repubblica democratica in molti Stati della quale ancor oggi la domenica è pressoché impossibile acquistare bevande alcoliche.
Quinto punto: nella misura in cui l’ Islam è fondamentalista, la religione lo è anch’ essa in molti luoghi, perché nella nostra epoca di laicità la religione è sotto assedio e il fondamentalismo è più di ogni altra cosa una reazione alla religione sotto assedio. Come un tempo la religione era l’ aria che respiravamo e l’ etere nel quale ci muovevamo, così oggi l’ aria che respiriamo e l’ etere nel quale ci muoviamo sono il commercio, la laicità, il materialismo. In realtà, molti sostengono che la democrazia è poco più del trionfo del commercio e della vittoria del materialismo scientista – il che potrebbe spiegare perché i fondamentalisti nel tentativo di proteggere le loro religioni prendano di mira non soltanto la modernità, ma anche la democrazia. I fondamentalisti protestanti americani, che non mandano a scuola i figli e insegnano loro a casa ciò che devono apprendere, differiscono poco dai fondamentalisti musulmani che si oppongono all’ invasione dei mercati capitalisti. Entrambi considerano Hollywood, Madison Avenue e il sistema del franchising consumistico – che ormai tengono in pugno il mondo e dominano i media e internet – cloache a doppio senso, chiaviche che si portano via i loro valori e al contempo invadono le loro case rovesciandovi immagini violente e pornografiche di quel "capitalismo selvaggio" che obbliga i consumatori ad attingere alle loro stesse fogne purché i mercati possono prosperare.
Sesto e ultimo punto: abbiamo visto che la convinzione secondo cui l’ Islam non può contemplare la democrazia è radicata in una comprensione superficiale e lacunosa dell’ Islam. Ma è anche collegata all’ idea infondata che esista una sola forma di democrazia, una sola strada per la libertà, una sola formula per tradurre la teoria della giustizia in pratiche giuste. Da un punto di vista storico e filosofico, tuttavia, la democrazia è singolare, non plurale. Otterremmo vantaggi enormi se riuscissimo semplicemente a parlarne al plurale, invece che al singolare, parlando quindi di "democrazie" e non di "democrazia". Del resto non è possibile "dare" la libertà al prossimo: la libertà deve essere conquistata dall’ interno, da chi vi aspira, e perché ciò sia possibile, deve essere costruita dal basso verso l’ alto, non dall’ alto verso il basso, dapprima educando i propri cittadini e occupandosi del duro e lento lavoro di creare una società civile, per costruirvi in seguito sopra un’ infrastruttura politica.
Lo so, lo so, anche questo comporta tempo: si possono mettere a repentaglio i diritti, talvolta si consente ai despoti di restare al potere e si concede alla religione la chance di sovvertire – come per altro anche sostenere – la democrazia. Ciò nondimeno le cose stanno così e la Storia pare insegnarci che le alternative – malgrado le buone intenzioni – di solito sono di gran lunga peggiori. Chiedetelo a George Bush.
Benjamin R. Barber è Kekst Professor of Civil Society all’Università del Maryland e Distinguished Senior Fellow di Demos.
Traduzione di Anna Bissanti