Obama rivendica la centralità della religione nello spazio pubblico, rifiutando ogni netta distinzione tra sfera pubblica e privata. Secondo lei, questa posizione potrebbe essere definita “post-secolare”? È in linea con il sentimento religioso degli americani?
Obama un politico americano post-laico? Nonostante la nostra rigida separazione tra Stato e Chiesa e la proibizione per lo Stato di istituzionalizzare la religione, la religione occupa da sempre un posto centrale nella sfera pubblica, in parte proprio grazie alla competizione e alla libertà di critica religiosa che tale separazione ha reso possibile. Per venire al punto, nessun candidato alle presidenziali americane ha mai avuto la possibilità di essere realmente laico. Gli americani credono in Dio, credono nel paradiso e nell’inferno (a differenza degli italiani che credono unicamente nell’inferno) e hanno un’esperienza personale di Gesù. Oltre il settanta per cento dei miei compatrioti è assolutamente certo dell’esistenza di Dio, e sono più o meno altrettanti a ritenere che anche un candidato alle presidenziali dovrebbe esserlo. Così, capirete bene che un ateo non può essere eletto alla presidenza degli Stati Uniti: è necessario almeno fare le mosse di rito. Obama non è e non può essere post-laico perché non abbiamo mai avuto un elettorato laico.
La sua posizione non è però forse più autenticamente religiosa e in grado di attrarre consensi rispetto alla laicità pure favorevole alla religione, di Hillary Clinton?
Sì, a differenza di Hillary Clinton e come Jimmy Carter, Obama è un vero credente ed è molto simile al suo elettorato. Nel cuore di Obama c’è Dio, e non si tratta semplicemente di una freccia nella sua faretra di armi politiche. I paralleli e le differenze con il presidente Bush (il secondo) sono impressionanti. Sia Obama che Bush hanno ritrovato se stessi attraverso Gesù: per Bush, sono stati l’alcolismo e la prospettiva di un fallimento come marito e come padre ad averlo avvicinato a Gesù, che gli ha indicato la via. La differenza è che Obama ha trovato Gesù lavorando con e per i poveri neri di South Side a Chicago. “Ho imparato che potevo riscattare i miei peccati”, ha detto Obama l’anno scorso alla congregazione della United Church of Christ, spiegando la sua personale esperienza di salvezza. “Ho imparato che quelle cose che ero troppo debole per compiere da solo, Lui le avrebbe compiute con me se io avessi avuto fede in Lui. E allora sono arrivato a considerare la fede, più che come un mero sostegno per i momenti di debolezza o un rifugio contro la morte, come un elemento tangibile e attivo nel mondo e nella mia stessa vita… È successo come una scelta, e nell’inginocchiarmi sotto quella croce di South Side, ho avuto la sensazione di sentire lo Spirito di Dio che mi chiamava. Mi sono sottomesso alla Sua volontà, dedicandomi alla scoperta della Sua volontà e alla realizzazione delle Sue opere”.
Qual è allora la differenza significativa tra Bush e Obama rispetto al tema della fede in Dio?
La differenza tra Bush e Obama richiama una divisione di vecchia data sul modo in cui la religione si è affermata in America. Da un lato, la tradizione seguita da Bush ritiene che il peccato risiede nell’anima dell’individuo, nella nostra debolezza e, seguendo San Paolo, nella nostra ribellione personale contro Dio. È questa la tradizione che ha dominato il discorso delle comunità evangeliche e fondamentaliste, ed è anche la tradizione più consona a una celebrazione del mercato con la sua etica dell’impegno individuale e della ricompensa individuale. Dall’altro lato, c’è la tradizione del “vangelo sociale” che afferma che le fonti primarie di peccato sono collocate nella società, nel modo in cui essa sottrae agli individui la dignità e la possibilità di fare scelte eticamente giuste. Obama proviene da questa seconda tradizione: per lui, essere cristiano significa combattere per la giustizia sociale, e questa stessa tradizione ha animato i battisti neri che hanno sfidato i razzisti bianchi del Sud e hanno distrutto la segregazione. È la stessa tradizione che ha mandato i soldati dell’Unione in battaglia contro gli stati schiavisti del Sud e ha posto fine alla schiavitù.
La rivendicazione della centralità della fede in politica, in particolare cristiana, che tipo di conseguenze potrebbe avere sulle altre confessioni, ad esempio i musulmani? Sarà in grado di convivere felicemente con la tutela delle altre confessioni?
Con un padre musulmano e un paese che dopo l’11 settembre è diventato sempre più diffidente nei confronti dei musulmani, Obama deve muoversi con attenzione per riuscire a farsi eleggere. La copertina del “New Yorker”, che lo ha ritratto in abiti di foggia araba, facendosi beffe del terrore indicibile che percorre segretamente il nostro paese, ha fatto così divampare la controversia. Tuttavia l’opinione dominante in America tra i seguaci di differenti fedi religiose è strutturalmente ecumenica, e tollerante, basata sulla convinzione che tutte le religioni portino allo stesso Dio. Se la gente mostra tolleranza per le altre tradizioni religiose, ne mostra però meno per chi non crede. Per un credente, diciamo un cattolico, è più facile parlare con un protestante, un musulmano o un ebreo che non con chi non crede. Quello che Obama farà, con sincerità, sarà appellarsi al cosmopolitismo religioso dell’America come modello per pensare eticamente al modo di riuscire a vivere insieme nel mondo. L’America è un paese con una pessima reputazione riguardo al modo in cui trattiamo i nostri cittadini più poveri, possiamo però andare fieri del modo in cui, un’ondata immigratoria dopo l’altra, abbiamo assorbito tradizioni religiose non protestanti, e ora non cristiane, e del modo in cui viviamo tutti insieme senza particolari attriti. Quando vedo i teppisti attaccare le comunità di rom in Italia, capisco sempre di più quanto sia significativo questo risultato.
Anche se gli Stati Uniti sono un paese eticamente pluralista, un presidente così religioso sarà poi in grado di fare scelte laiche a favore di aborto, diritti dei gay, nuove famiglie?
Penso che quello che Obama sta facendo e ha fatto sull’aborto sia riconoscere che non può essere semplicemente analizzato come un problema di diritti civili riguardante soltanto la donna e il suo diritto di controllare quello che avviene nel suo corpo. Egli ha compreso che si tratta anche di un problema morale dalle implicazioni profonde fondato sulla definizione dell’essere umano, della vita, che cosa essa sia e quando abbia inizio. Sebbene abbia poi condannato l’approvazione da parte del Congresso di una proibizione degli aborti “a nascita parziale”, quando aveva fatto parte del consiglio dell’Illinois aveva rifiutato di votare contro coloro che volevano proibire gli aborti “a nascita parziale”, votando “astenuto” anziché “no” (l’aborto “a nascita parziale” è un termine politico per indicare l’interruzione di una gravidanza avanzata, per cui un feto vitale viene parzialmente estratto dall’addome della madre e quindi ucciso, generalmente nel secondo trimestre di gravidanza, o al principio del terzo. Il presidente Clinton aveva opposto il veto a un disegno di legge che lo proibiva durante la sua presidenza, mentre il presidente Bush, alla fine nel 2003, lo ha definitivamente trasformato in legge, dichiarata costituzionale dalla Corte Suprema nel 2007, per un solo voto. L’aborto “a nascita parziale” è proibito in trentasei stati). Io credo che Obama si prepari ad agire sulla distinzione tra l’aspetto personale, etico e religioso da un lato e quello istituzionale e dei diritti civili dall’altro, per tentare di trovare una base comune. E, cosa molto importante, come ho già sottolineato, affronterà il problema dal punto di vista del vangelo sociale, occupandosi delle condizioni sociali che portano alle gravidanze indesiderate. Per molte ragazze, è l’impotenza nei confronti dei ragazzi a renderle vulnerabili al sesso non protetto, mentre l’assenza di prospettive di lavoro rende attraente l’idea di avere un bambino.
La religione costituisce spesso nei discorsi di Obama un’arma retorica utile per coinvolgere emotivamente il pubblico e creare consenso. Secondo lei, si tratta di un’arma, impropria, oppure il fatto che i discorsi del candidato alla presidenza appaiano spesso dei sermoni costituisce un nuovo modo di comunicare, più accattivante e meno freddo rispetto all’intellettualismo clintoniano?
È indubbio che, in America, parlare di religione e adottarne il gergo, facendo ricorso alla fede e al linguaggio morale, siano un modo di entrare in sintonia con la gente comune. I discorsi tecnocratici di Hillary sulle misure politiche che avrebbe adottato non hanno raggiunto molti elettori; quello che li ha raggiunti è il fatto di aver resistito e mantenuto la propria dignità dinanzi a un marito infedele, e di aver continuato a essere una buona madre. Molte donne che conosco la amano, letteralmente intendo. Sentono il suo dolore, la discriminazione sessista a cui è stata sottoposta dai media, la sentono come una di loro. Gli americani si rapportano alla condizione esistenziale di un candidato almeno quanto alle sue posizioni politiche, se non di più. Obama è un ragazzo che è stato abbandonato dal padre, e ciò nonostante ce l’ha fatta da solo, diventando un americano di successo, a capo della Harvard Law Review, un uomo felicemente sposato che naturalmente ama la moglie e le figlie, che ci ricorda come, se ce ne viene data l’opportunità, possiamo diventare qualcuno, possiamo avere dalla vita amore, lavoro e soddisfazioni. Egli rappresenta la grandezza dell’America e noi lo sentiamo. Il linguaggio religioso in America non è legato alla dottrina, al dogma o alla teologia ma alla spiritualità, al personale rapporto che ognuno ha con Dio, alle forze che ci trascendono, a un riconoscimento dei limiti della nostra sovranità in quanto individui completamente autonomi che fanno scelte razionali come superuomini. Il discorso religioso in America è potente perché sfrutta l’umiltà e ne produce, ed è questo che avvantaggia Obama.
In uno dei suoi saggi più famosi, il linguista George Lakoff ha usato per la sinistra l’immagine della "madre nutrice" e per la destra quella del "padre autoritario". Secondo lei, rispetto a questo schema, Obama come si pone?
Non conosco bene la distinzione di Lakoff. Tuttavia, Obama in effetti fonde la promessa di occuparsi di noi alla richiesta di assumerci le nostre responsabilità. Egli è stato cresciuto da donne: il reverendo Wright è stato una sorta di padre putativo, l’uomo che lo ha guidato fino all’età adulta, ed è per questo che per lui è così doloroso doverlo ripudiare. Obama ha avuto il coraggio di parlare alla comunità nera, chiedendo, in occasione della festa del papà, che gli uomini si assumessero le loro responsabilità, riconoscendo che troppi di loro erano spariti, abbandonando i figli, proprio come era stato abbandonato anche lui. Questo ha richiesto coraggio da parte sua. Jessie Jackson si è indignato: senza sospettare che il microfono stesse registrando i suoi commenti, ha detto: “Guardate, Barack ha parlato ai neri… Voglio tagliargli le palle.” Così ha detto Jackson. Obama ha dichiarato pubblicamente che la condizione di vittima non è un vitalizio, che è ora di prendersi cura e insieme di esigere un’assunzione di responsabilità personale, entrambe le cose nello stesso tempo. È un appello a tutti i padri, non solo a quelli neri, perché si prendano cura delle loro famiglie. Se questo significa essere materno-paterno, mi sembra che possa funzionare.
Penso che la corsa di Obama alla presidenza abbia il potenziale per trasformare la politica americana. La religione non è destinata a uscire di scena. Quello che Obama ha l’opportunità di fare è qualcosa che è stato tentato anche dal presidente Jimmy Carter, un battista: schierare Dio dalla parte della giustizia sociale. Sarà un processo impegnativo e lento, ma non mancano già segnali in questo senso. Nel mese di giugno 2008, Obama era davanti a McCain nella preferenza degli elettori religiosi, termine con cui mi riferisco a coloro che affermano di appartenere all’una o all’altra affiliazione religiosa. La cosa interessante è osservare gli elettori evangelici, se si ricorda che quattro elettori di Bush su dieci, l’ultima volta, erano evangelici. Se McCain non riuscirà a farli scendere di nuovo in campo, o se non riuscirà a compensare la loro perdita con gli elettori cattolici, non penso che riuscirà a vincere. È in effetti probabile che saranno gli elettori cattolici a decidere il nostro futuro in questo paese, e quindi il futuro del mondo. Circa un quarto degli evangelici ora sostiene Obama. Il dato principale è che i giovani elettori evangelici, che rappresentano il futuro, si stanno spostando molto più rapidamente dei loro genitori nello schieramento di Obama o in quello degli indecisi, il che è straordinario perché McCain è contro l’aborto e Obama non lo è e in passato questa è stata la questione fondamentale. Esiste ancora una forte divisione tra coloro per cui la religione è un pilastro fondamentale della vita e coloro per cui non lo è, ma credo che Obama abbia la possibilità di rimescolare gli schieramenti, e questa sarebbe una buona cosa.
Questa intervista è stata originariamente pubblicata da Caffeeuropa.it