Nelle ultime settimane il tema dell’antisemitismo è tornato a dominare le pagine dei giornali italiani. Due fatti, in particolare, hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica. Sul primo c’è poco da dire. Un blog ha messo in rete una “black list” di 162 professori ebrei, accusati di “fare lobby” a favore dei “sionisti”. L’elenco di docenti, de La Sapienza di Roma e di altre università italiane, includeva tra l’altro diversi professori in realtà non-ebrei. Il dilettantismo di chi ha progettato il tutto, unito all’unanime condanna del mondo intellettuale politico e istituzionale (il sito è stato immediatamente oscurato dal Ministero degli Interni e l’autore presto identificato), possono permettere di inserire la vicenda nel triste ma già noto campo dell’ignoranza e del pregiudizio antisemita. Molto più interessante è invece il secondo fatto.
In seguito alla decisione della Fiera del Libro di Torino (8-12 maggio 2008) di invitare Israele come ospite d’onore, alcuni esponenti piemontesi dei Comunisti italiani e del partito di Rifondazione Comunista hanno invocato il boicottaggio dell’evento, nel caso in cui non fosse stata co-invitata una delegazione palestinese di uguale peso. Si sono detti favorevoli all’appello, che è stato invece respinto dal leader di Rifondazione Fausto Bertinotti, diversi intellettuali musulmani, tra i quali lo scrittore anglo-pakistano Tariq Ali, il filosofo ginevrino Tariq Ramadan e l’Associazione degli scrittori arabi, che hanno sottolineato come l’invito avvenga nel 60° anniversario della nascita dello Stato di Israele, dopo che inizialmente era stata invitato l’Egitto, e in un momento in cui si fa particolarmente drammatica la situazione dei palestinesi di Gaza. Ramadan ha ampliato l’appello al boicottaggio anche per il Salone del Libro di Parigi (14-18 marzo), dove l’ospite d’onore sarà ancora Israele.
La richiesta di boicottaggio incontra obiezioni molto più che ragionevoli, e secondo noi giuste (non si può confondere il governo di Israele con i suoi scrittori; tra gli autori invitati ci sono figure come Amos Oz, David Grossman e Abraham Yehoshua, che si battono da anni per la pace e il riconoscimento dello stato palestinese). Ciononostante, vale la pena rileggersi la polemica e come i giornali italiani l’hanno raccontata e commentata. Proviamo a distinguere le varie posizioni. Iniziamo da quelle provocatorie. Tra queste va annoverato sicuramente il filosofo Gianni Vattimo, che su La Stampa del 4 febbraio ha spiegato di essere a favore del boicottaggio “politico” della Fiera perché “politico” è stato l’invito del direttore della Fiera Ernesto Ferrero.
Yehoshua, Fassino e Ben Jelloun contro il boicottaggio
Tra quanti hanno preso posizione contro il boicottaggio, hanno usato argomenti convincenti in molti, da Piero Fassino a Yehoshua a Tahar Ben Jelloun. L’ex segretario dei Ds, sul Corriere della Sera del 4 febbraio, ha scritto che chi “per affermare il diritto dell’uno nega il diritto dell’altro, non lavora per la pace ma per tenere irrisolto all’infinito un conflitto che ogni giorno è fonte di nuove sofferenze”. “Sto leggendo l’ultimo romanzo di Amos Oz e ho messo da parte quello di Amir Gutfreund. Se comprendo bene la logica di coloro che lanciano una campagna per il boicottaggio del prossimo salone del libro di Torino, dovrei gettar via questi due libri, forse addirittura bruciarli. Perché? – si è chiesto lo scrittore Tahar Ben Jelloun su la Repubblica del 2 febbraio – Perché sono scritti da israeliani”. “Il boicottaggio non solo è ingiusto ma anche dannoso al processo di pace nel quale tutti riponiamo speranze – ha ribadito Yehoshua su La Stampa il 4 febbraio, augurandosi che l’anno prossimo ospite d’onore sia la Palestina, “in occasione del primo anniversario della sua nascita”: “Noi, scrittori e poeti israeliani, parteciperemo a quell’evento con gioia e con convinzione”.
La gaudiosa campagna di Magdi Allam e Pigi Battista
C’è poi un ultimo gruppo, capeggiato da due firme eccellenti del Corriere della Sera, i vicedirettori Magdi Allam e Pierluigi Battista. Sebbene abbiano ragione nell’essere contrari al boicottaggio, non sfugge che sfruttino l’occasione per strumentalizzare ideologicamente la questione, allo scopo di alimentare una loro vecchia campagna. Magdi Allam, in particolare, dipinge sempre Tariq Ramadan, suo abituale avversario dialettico, come il campione dell’antisemitismo e del fondamentalismo islamico dei “tagliagole”, come il leader europeo dei Fratelli musulmani. Ramadan stavolta ha sbagliato, Allam e Battista possono festeggiare. Rinfocolando la loro gaudiosa campagna contro quello che in tante altre occasioni ha invece dimostrato di essere una delle speranze dell’Islam moderato europeo.
Magdi Allam, sul Corriere del 4 febbraio, ha lanciato il suo contro-boicottaggio, contro quegli “scrittori e intellettuali che negano il diritto di Israele all’esistenza”.
Si è scagliato, senza mezzi toni, contro i “neonazisti islamici e panarabismi”, dando una lettura ideologica del conflitto israeliano-palestinese (il dramma della popolazione di Gaza, secondo lui, sarebbe colpa solo “della dittatura e del terrorismo di Hamas”). Ha chiamato Ramadan “negazionista di Israele”, “più insidioso dei terroristi islamici”. Anche Battista ha infilato nel suo articolo immagini del periodo fascista, di Auschwitz e del ghetto di Roma, e ha definito Ramadan “ideologo dell’ islamismo fondamentalista”, “un volgare antisemita” (addirittura!), “calorosamente accolto come una creatura esotica nei salotti dell’intellighenzia italiana”.
Le (vere) parole di Ramadan
Ma il filosofo ginevrino ha detto e scritto altro. Ramadan sbaglia a invocare il boicottaggio, ma non ha affatto negato il diritto di esistere di Israele. Ecco cosa ha scritto sul suo sito: “La fiera del libro di Torino aveva inizialmente designato l’Egitto come invitato d’onore, poi ha cambiato opinione e ha scelto di celebrare Israele perché combaciava con il 60° anniversario della creazione di questo Stato. Interrogato dall’agenzia di stampa italiana Ansa su questo ‘appello al boicottaggio’, ho chiaramente sostenuto che non fosse normale, né umanamente decente, celebrare Israele nel momento in cui si sa quale politica conducano questo Stato e il suo governo nei territori occupati e devastati. Si tratta dunque chiaramente di criticare la scelta di questo ‘invitato d’onore’, e non d’impedire agli autori israeliani di esprimersi, e nemmeno di non discutere con loro! La propaganda menzognera si è dunque messa in moto: si tratterebbe di una deriva antisemita! Un rifiuto della libertà d’espressione!”. Per Ramadan, bisogna boicottare “la Fiera, come d’altronde il Salone di Parigi, se l’invitato d’onore è un paese che non rispetta il diritto e la dignità delle persone”, e il “rifiuto di un silenzio complice sulla scena internazionale” è “l’unico vero mezzo per far cessare la violenza nel Medio Oriente”. “Rifiutare di ‘celebrare’ Israele e la sua politica di oppressione non ha niente a che vedere con l’antisemitismo o la negazione della libertà d’espressione”, ha chiarito il teologo, e ha citato il poeta israeliano Aaron Shabtaï, che boicotterà la Fiera perché pensa che il suo paese non merita “di essere invitato a una settimana culturale”.
Questi “dettagli” non sono finiti nel frullatore della propaganda anti-Ramadan del Corriere, ma sono stati sottolineati da alcuni osservatori più attenti. Come Mario Pirani, che, sulla Repubblica del 9 febbraio, ha parlato non di antisemitismo, ma della “ambigua indulgenza verso l’antisionismo”, da parte di Tariq Ramadan. Come Franz Haas della Neue Zürcher Zeitung, che ha definito “scomposto” un titolo con cui La Stampa ha attaccato il filosofo svizzero, “La fatwa di Ramadan”. Anche Paola Caridi, autrice di “Arabi invisibili”, sul blog di Riccardo Chiaberge ha detto la sua. Ha scritto che “a Torino la cultura è stata rapita dalla politica, e non ha saputo invece recuperare quel ruolo fondamentale di agorà, che avrebbe consentito duetti e duelli indimenticabili: David Grossman ed Elias Sanbar (l’acuto coautore di Etre Arabe), AB Yehoshua e Sahar Khalifah, Amos Oz ed Elias Khouri”. “Non so quanto Pierluigi Battista sarebbe contento di questi confronti”, ha aggiunto la scrittrice, che si è detta contraria al boicottaggio, ma che si sarebbe augurata di assistere, a Torino, a confronti duri, veri: “Finché non ascolteremo entrambi i fronti, il nostro ruolo sarà sempre meno neutrale – ha concluso Caridi – E sempre meno critico, come agli intellettuali si chiede”.