Professor El Shobaki, alla luce dei risultati ufficiali delle elezioni 2010, che hanno affossato tutte le opposizioni, che cosa le sembra sia cambiato in cinque anni sulla scena politica egiziana?
Francamente poco, se non niente, al di là dei risultati specifici. Una delle questioni chiave della politica egiziana è la legittimità oppure no della Fratellanza musulmana, che ufficialmente è ancora bandita. Il paradosso è che la confraternita rappresenta una grossa fetta della popolazione, aspetto di cui bisogna tenere conto, e ha partecipato alle ultime cinque consultazioni, dal 1984 in poi. Eppure siamo ancora al punto di partenza: il regime non l’ha legittimata, anzi ha irrigidito ancora di più gli ostacoli per qualsiasi movimento di ispirazione religiosa. L’integrazione nel sistema politico non c’è stata. Per evitare che questa minoranza potesse avere un risultato anche solo pari a quello del 2005, si è fatto ricorso a ogni espediente. Allo stesso tempo, la confraternita non ha accettato le regole di questo Stato, continuando a utilizzare un linguaggio antidemocratico e contrario a uno Stato civile moderno: ancora lo slogan “L’islam è la soluzione”, dopo anni e anni, senza un vero programma politico alle spalle. Credevo comunque che avrebbero vinto una quarantina di seggi. Quanto all’opposizione laica, con il partito Al Wafd (La Delegazione) un po’ rinnovato e le formazioni minori senza veri leader, si sono presentate disorganizzate.
L’esordio di Mohammed El Baradei, ex numero uno dell’Agenzia delle Nazioni Unite per l’energia atomica (Aiea) e Nobel per la pace nel 2005, non ha rinnovato il clima politico come sperato da molti. Che cosa ne pensa?
No, infatti. El Baradei si batte per il cambiamento delle regole, per il rinnovamento di un sistema immobile da decenni, ma per fare questo ci vogliono tempi lunghi, non è certo una questione di mesi. Non saprei dire se la sua figura è già bruciata oppure avrà un futuro, forse non è destinato a fare il candidato di un movimento, ma piuttosto a mettere in moto un meccanismo nuovo, a innescare un processo rimanendo fuori dalla competizione.
E la scelta di boicottare le elezioni, assunta dal raggruppamento per il Cambiamento, fondato dallo stesso El Baradei, e poi abbracciata anche dai Fratelli musulmani al secondo turno?
Non è stata né efficace né nuova. Di fatto, la popolazione egiziana boicotta già il voto da sempre, perché ritiene che non sia trasparente e non abbia alcun valore. Tanto, non si può esprimere veramente la propria volontà. La gente non ha fiducia nella politica. Comunque le elezioni non sono altro che la punta di un iceberg, tutto quello che c’è sotto è da rinnovare prima di tutto, alla fine si tratta solo di un appuntamento che dura uno o due giorni.
C’è un legame fra elezioni parlamentari e quelle presidenziali del prossimo anno? Si possono considerare le prime l’anteprima delle seconde, che potrebbero sancire la transizione dalla presidenza Mubarak al suo successore designato?
Non credo ci sia un collegamento diretto. Le elezioni sono solo un’occasione formale, la politica in Egitto si decide in altre sedi. Quindi, a maggior ragione per il futuro presidente saranno le principali istituzioni di questo Paese a mettersi d’accordo fra di loro nei prossimi mesi, se non lo hanno già fatto da tempo lontano dalla gente.