Perché scrivere oggi un romanzo sui rinnegati nel Mediterraneo?
Per recuperare una storia "negata", scomparsa dalla memoria collettiva occidentale per motivi religiosi e politici. Io vedo il Mediterraneo come un mare chiuso dove è nata un’unica civiltà divisa poi in due culture. L’identità aperta è lo strumento per poter vivere questa consapevolezza e sviluppare un dialogo.
Tra il Cinquecento e l’Ottocento, 300 mila cristiani europei si sono convertiti all’Islam. Erano rifugiati “religiosi” o “politici”?
Alcuni erano rifugiati religiosi, altri politici, tutti certamente erano rifugiati "sociali", in fuga da un sistema oppressivo che non permetteva nessun riscatto sociale. L’Islam rappresentava una reale possibilità di cambiamento delle proprie condizioni di vita. Si può affermare che era conveniente diventare musulmani, mentre non lo era il contrario. Infatti furono ben poche le conversioni al cristianesimo.
E’ possibile usare il passato del Mediterraneo come chiave di lettura per capire il nostro presente?
Non solo è possibile, ma è necessario. Noi occidentali coltiviamo una visione distorta della nostra storia passata che ci porta a percepire "l’altro" con una diffidenza immotivata. Non a caso negli ultimi anni c’è stata una riscoperta della cosiddetta retorica di Lepanto che viene indicata come la vittoria strategica che ha salvato l’Europa cristiana dall’invasione islamica. Nulla di più falso, eppure sono stati pubblicati numerosi saggi a cui la stampa ha dato molto spazio.
La conversione è un mezzo per aderire al diverso o un atto di protesta contro la propria religione di origine?
Entrambe le cose. Bisogna infatti tener conto che l’abiura era regolata da norme riconosciute da entrambe le parti e si trattava di un atto pubblico e certificato. Una scelta consapevole e resa nota alla propria comunità di appartenenza.
Il tuo romanzo è una critica profonda al cosiddetto “scontro di civiltà”. Come tutelarci da questa propaganda mediatica?
Recuperando una dimensione di verità storica e rivendicando le proprie radici comuni di "mediterranei" e non smettere mai di denunciare che dietro al concetto di scontro di civiltà si nascondono volontà politiche, economiche e militari di controllo e predominio.
Nel Mediterraneo, le religioni continuano ad essere strumenti di manipolazione, come uscirne?
Innanzi tutto cercando di arginare lo strapotere religioso per conservare una dimensione realmente laica delle rispettive società, e poi battersi per uno sviluppo diverso per uscire da questa crisi che sta investendo entrambe le rive del Mediterraneo, per impedire che la religione diventi una risposta ai bisogni della gente, soprattutto dei giovani.
Algeri del tuo romanzo è un città aperta, come l’hai trovata durante il tuo viaggio l’anno scorso?
Algeri è una città di rara bellezza duramente provata dal recente passato. Ho avuto netta la percezione di una città "sotto controllo" e ancora profondamente divisa. Al contempo ho avuto l’impressione di una solidità culturale e civile che fa ben sperare per il futuro.