Tutte le tappe di un gioco rischioso
Marta Federica Ottaviani 24 June 2008

Tutto è iniziato il 14 marzo, quando il procuratore Yalcinkaya ha portato alla Corte Costituzionale un ricorso, lungo bel 168 pagine, in cui ha chiesto la chiusura del partito islamico-moderato per attività antilaiche e volte a sovvertire l’unità del Paese. Oltre alla chiusura, si domanda anche l’allontanamento dalla vita politica per 5 anni del premier Recep Tayyip Erdogan, del presidente della Repubblica Abdullah Gul e di altri 69 dirigenti del partito, fra cui svariati ministri dell’attuale esecutivo. Il 31 marzo, con voto all’unanimità, la Suprema Corte ha accolto il ricorso: la richiesta del presidente, Hasim Kilic, e di altri 3 giudici di stralciare la posizione del presidente della Repubblica Gul, in quanto capo dello Stato, è stata respinta. L’apertura formale del processo ha fatto precipitare i mercati, dando solo una minima anticipazione di quello che potrebbe succedere se l’Akp dovesse essere dichiarato incostituzionale.

Il 30 aprile l’Akp ha consegnato la sua memoria difensiva preliminare, redatta da Cemil Cicek, attuale vice premier, ex ministro della Giustizia e fra le poche alte reggenze dell’Akp a non essere state incluse nel provvedimento di Yalcinkaya. I toni della difesa, che è lunga oltre 90 pagine, sono stati molto duri, come quelli della difesa definitiva. La procura è stata accusata di avere agito su basi ideologiche e non di diritto e di aver raccolto il 75% del materiale dal quotidiano Cumhuriyet, che è l’organo di informazione per eccellenza della Turchia laica e che non sarebbe quindi ritenuto sufficientemente imparziale. E’ necessario che vi siano almeno 7 voti favorevoli su 11 componenti del Supremo Consiglio. Al momento otto sono stati nominati da Ahmet Necdet Sezer, l’ex presidente della Repubblica ultra laico, e quindi sono teoricamente concordi con le posizioni di Yalcinkaya.

Lo scorso 5 giugno la Corte Costituzionale ha annullato all’unanimità la contestata legge che liberalizzava il velo islamico nelle università turche, che l’Akp aveva fatto votare il 9 febbraio insieme con i deputati del Mhp, il Partito nazionalista. Una decisione che a molti è sembrata l’anticipazione di quella sulla sorte del partito di maggioranza. Il primo luglio il grande accusatore, che sta cercando anche di fare chiudere il Dtp, il Partito curdo per la società democratica, verrà ascoltato dalla Corte Costituzionale. Il 3 luglio sarà la volta dell’Akp.

Un anno di Erdogan: un bilancio provvisorio

Verrebbe da chiedersi che cosa il premier Erdogan e il suo partito abbiano fatto di tanto male per meritarsi un processo del genere, che non si vedeva dai tempi della destra islamica di Necmettin Erbakan, padre politico di Erdogan, e del suo Refah Partisi, il Partito del Benessere bandito negli anni ‘90. In questi primi 11 mesi di governo la politica del premier è stata tutto sommato trasparente e, se proprio si vuole trovare un difetto al modo di governare di Recep Tayyip Erdogan, gli si può solo imputare la colpa di essere stato un po’ troppo frettoloso nel portare avanti alcune leggi che gli stavano particolarmente a cuore, prima fra tutti quella sulla liberalizzazione del velo islamico. Per il resto, dal 22 luglio 2007, quando ha stravinto le elezioni politiche, il primo ministro non ha fatto altro che parlare di democrazia, ingresso nell’Unione europea e risoluzione di due dei maggiori problemi che affliggono il Paese, come la questione curda e il nodo Cipro. Durante questa prima parte del secondo esecutivo di Erdogan, sono state varate due leggi molto importanti soprattutto per Bruxelles, che le chiedeva da tempo. A febbraio è stata approvata la legge sulle fondazioni religiose, che permette alle fondazioni religiose di minoranze non musulmane di tornare in possesso dei beni, soprattutto immobiliari, sequestrati dallo Stato nei decenni passati, dopo il golpe militare del 1971.

In particolare torneranno in loro possesso chiese, scuole e orfanotrofi registrati sotto il nome di santi. In aprile poi è stato mandato in pensione l’articolo 301 del codice penale, che non offende più l’identità turca e che, stando all’Akp, con il nuovo testo non dovrebbe più rappresentare una minaccia per intellettuali e scrittori. Sempre in questi 11 mesi Erdogan ha promesso nuovi investimenti per il sud-est del Paese, in modo da colmare un grande vuoto, non solo economico, ma anche culturale, fra la Turchia più progredita e quella più povera. Ha dato mandato all’esercito per attaccare il nord-Iraq e cercare di risolvere il problema del terrorismo curdo, pur continuando a dialogare con la popolazione e a promettere nuove libertà e riconoscimenti culturali nella prossima costituzione, che probabilmente non farà in tempo ad approvare. Ha posto le basi per una soluzione pacifica del nodo Cipro, lavorando per la riunificazione dell’isola sotto l’egida dell’Onu. Un programma fitto e convincente. Per tutti, tranne che per le schiere più laiche dello Stato e metà della popolazione che proprio di Erdogan non si fida.

I tre punti interrogativi

Adesso tutta l’attenzione è concentrata su tre quesiti: se, quando e come l’Akp verrà chiuso. Il “se” è l’incognita più grossa, chiaramente, ma anche il “quando” e soprattutto il “come” nascondono interrogativi importanti per il futuro del Paese. Per quanto riguarda la tempistica sembra che il partito di Erdogan stia facendo tutto il possibile per chiudere la partita prima dell’estate. Per rendere l’ambiente politico ancora più incandescente, come se non lo fosse già, il premier ha dichiarato che il parlamento andrà avanti a lavorare a oltranza, finché la Corte non avrà deciso delle sorti della sua formazione politica.

Anche il Presidente della Suprema Corte, Hasim Kilic, vorrebbe archiviare subito il caso, che sta letteralmente logorando la vita quotidiana nel Paese come il peggiore degli incubi, ma l’impresa appare quantomai ardua, perché a luglio la Corte Costituzionale andrà in vacanza fino al primo di settembre e perché il caso dell’Akp appare molto complesso, soprattutto per la presenza come imputato, all’interno del procedimento, anche del presidente della Repubblica, ossia la carica più alta dello Stato. Nonostante Kilic abbia fatto sapere che, in caso di estrema necessità, la Corte potrebbe lavorare anche nei mesi di luglio e agosto, tutti gli esperti di diritto interpellati dai vari quotidiani turchi concordano nel dire che la sentenza non arriverà prima di settembre-ottobre. C’è poi da considerare come l’Akp verrà chiuso. Fra i 71 dirigenti del partito sotto processo, 38 sono deputati. Secondo l’articolo 78 della Anayasa (la Costituzione turca), se il 5% del parlamento perde la carica di deputato allora bisogna andare a elezioni anticipate. Il parlamento attualmente è formato da 549 deputati (un parlamentare del Mhp è morto tragicamente pochi giorni dopo il voto dello scorso luglio e il suo posto non è stato rimpiazzato). Ne deriva che, perché si vada a elezioni anticipate, basta che la Corte Costituzionale, oltre a bandire l’Akp, faccia perdere il seggio a 27 deputati.

In questo caso il voto dovrebbe tenersi la prima domenica utile non appena saranno trascorsi 90 giorni dalla sentenza. Tuttavia in molti pensano che se veramente l’Akp verrà chiuso, allora ci potrebbe essere un grande “election day” il 29 marzo 2009, data in cui il Paese voterà per le elezioni amministrative. E le sorprese non sono finite. Secondo Muammer Aydin, presidente del Supremo Consiglio elettorale (Ysk) intervistato dal quotidiano Star, anche se l’Akp verrà chiuso, il premier Recep Tayyip Erdogan e gli altri deputati dell’Akp potranno presentarsi come candidati indipendenti alla consultazione elettorale. Sempre secondo Aydin, il presidente Gul potrebbe conservare il suo incarico. Insomma, se da una parte dichiarare il partito di maggioranza anticostituzionale sarà un grosso errore dal punto di vista economico e della credibilità davanti all’Unione Europea, dall’altra potrebbe non eliminare la pretesa “minaccia islamica”, avvertita dalla parte più laica del Paese e da tutti quelli che vorrebbero il premier Erdogan fuori gioco. In attesa che la Corte Costituzionale deliberi, molti in Turchia aspettano un atto di buon senso, che allontani lo spetto di una nuova crisi politica. Crisi che il Paese della Mezzaluna può e dovrebbe evitare.

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