La forza di Al Jazeera e lo spettro della controrivoluzione
Akeel Bilgrami 13 October 2011

Molto è stato scritto sul ruolo dei social media nelle rivolte arabe ma credo che valga la pena di sottolineare un altro istituto e un altro fenomeno che è ad esse collegato ma che a mio avviso è ancor più importante.

Una stazione televisiva ha trasformato il Medio Oriente nell’ultimo decennio. Non c’è mai stato niente di simile nella storia. Ciò che è notevole non è solo il suo ruolo causale nel preparare il terreno nel corso di molti anni a quella che abbiamo visto essere una mobilitazione prodigiosa, ma il fatto di farlo creando quelle che forse sono definite al meglio come le condizioni cognitive che rendono possibili simili cambiamenti attraverso le mobilitazioni.

Le persone devono conoscere quello che succede prima che possano essere mosse ad agire razionalmente ed efficacemente (oppure, se vivono in una democrazia, prima che possano votare razionalmente). Quello che Al Jazeera ha fatto, contro ogni previsione, è stato informare la popolazione di molti Paesi del Medio Oriente sul livello di corruzione dei loro sovrani e governi. Si tratta di un gran risultato, e dal momento che non è tanto facile raggiungerlo neanche in democrazie come l’America, è a maggior ragione notevole che sia successo sotto i regimi oppressivi del Medio Oriente.

Dovrebbe essere un’ovvietà il fatto che in una democrazia è essenziale non solo votare ogni quattro anni, ma essere informati giorno per giorno su quello che il proprio governo sta facendo e su come le condizioni che ci circondano debbano essere correttamente comprese e analizzate. E io ho sempre pensato che se gli Stati Uniti avessero un canale televisivo come Al Jazeera i loro abitanti, come cittadini, sarebbero molto diversi da quello che sono. Anche se non esiste un paese con le stesse libertà degli Stati Uniti, esercitare tale libertà senza che le persone sappiano ciò che succede significa di fatto indebolire quella stessa libertà. Senza questo, infatti, si tratta di una libertà meramente formale. Ovviamente, è pur sempre ottimo avere quella libertà, nessuno può negarlo. È bello sapere che una persona non sarà rinchiusa o torturata (o, anche perché le leggi sulla diffamazione non sono eccessive come in alcuni luoghi come il Regno Unito, che non sarà continuamente citata in giudizio) per aver detto certe cose, come spesso accade a molti in varie parti del mondo. Ma, malgrado ciò, il principio di cittadinanza in America è tuttora minato da seri deficit cognitivi o epistemici, perché le stazioni televisive e i giornali più letti nascondono la verità su quello che sta succedendo nel Paese e ancor di più su ciò che il suo governo sta facendo ad altri Paesi. Il risultato è che buona parte della popolazione degli Stati Uniti non è realmente informata su chi controlla veramente il potere e su cosa ne fa nelle decisione fondamentali che riguardano la vita di milioni di persone, non solo le vite degli Americani ma delle persone di tutto il mondo su cui si ripercuotono le politiche le governo USA.

In qualche modo – e sarebbero necessari degli studi a riguardo – Al Jazeera è riuscita a trasmettere a milioni di persone in Medio Oriente cose che nessun media con un ampio pubblico è riuscito a fare negli Stati Uniti. Invece negli USA i media, che sono molto seguiti, hanno creato per la maggior parte una cittadinanza ignorante e prevenuta.

Quindi, concluderei questo punto dicendo che sebbene i tipi più recenti di social media siano stati di grande valore strumentale per la mobilitazione immediata della Primavera araba, e per tenere informate le persone sugli eventi in diretta e gli sviluppi durante le rivolte, il fattore “media più convenzionali”, rappresentato da una notevole stazione televisiva, ha avuto il merito di preparare alla sollevazione in modo sostenuto per diversi anni, attraverso la disseminazione di informazione e attraverso analisi acute e coraggiose, una trasformazione e un rimodellamento del modo di pensare delle persone che non era mai stato fatto prima. Quindi, voglio anzitutto essere chiaro sul fatto che non dobbiamo mancare di riconoscere il ruolo di Al Jazeera in mezzo a tutta l’euforia sul ruolo dei nuovi social media.

Passando alla situazione attuale, sembra ora essere un vero peccato che queste rivolte di persone coraggiose non siano continuate più a lungo. Il fatto è che le società si palesano realmente alle popolazioni proprio sul campo dei movimenti popolari. C’è conversazione, c’è discussione, c’è dibattito, e la decisione cui questi movimenti danno luogo tra le solidarietà che essa crea. Il pericolo è che quando le persone comuni smobiliteranno dalle strade e dalle piazze e torneranno a casa, coloro che non hanno preso parte alle loro solidarietà – rappresentanti del potere statale o delle corporazioni tra le quali non c’è confronto o dibattito eccezion fatta per quello che va ad aumentare o preservare gli interessi di chi è al potere, politico ed economico – inizieranno allora a plasmare le cose tutte daccapo. Si aveva la sensazione terribile che la controrivoluzione sarebbe iniziata in Egitto non appena sgombrate le strade e le piazze. E sembra che stia già accadendo.

Questa caratteristica è generalmente abbastanza vera e non è affatto riferibile unicamente al Medio oriente. Anche in America, i movimenti popolari nel passato hanno fornito alle persone un’educazione politica, cosa che la scuola non aveva mai fatto e, come dicevo precedentemente, neanche i media. È difficile avere un’informazione genuina e nuove forme di analisi politica nelle scuole, nelle università e nella maggior parte dei media (almeno i media più seguiti dalle persone che non hanno tempo da perdere su oscuri siti internet) perché queste istituzioni forniscono una formula di apprendimento che è convenzionale, di routine e spesso dettata dalle élite. Ma alla vista dei movimenti popolari le persone guadagnano realmente una pubblica istruzione. Le verità fondamentali delle strutture alla base delle loro società non sono nascoste come avviene anche nei più apprezzati quotidiani. Lasciate che vi faccia un esempio degli anni ’60 in America. Molto si è parlato di uguaglianza razziale nelle aule e negli editoriali dei quotidiani nazionali, ma la prima volta che le persone hanno imparato cosa significa in un modo non arcano e accademico è stato durante il movimento per i diritti civili negli anni ’60.

Concludo con alcuni commenti sugli avvenimenti della Primavera araba. La Tunisia è stata molto differente dall’Egitto da un certo punto di vista. Lì sono stati istituiti comitati di istruzione pubblica e di quartiere, poi centralizzati in quello che viene chiamato Comitato di Salute Pubblica. Ma in entrambi i casi, in Egitto e in Tunisia, si deve comprendere che i movimenti che hanno provato a sbarazzarsi di regimi brutali e repressivi avevano le loro origini nel movimento del lavoro, il che rientra in una lunga tradizione di agitazioni sindacali. Quello che è successo in Tunisia in gennaio e febbraio è stato uno spostamento a Tunisi di ciò che già stava succedendo nelle regioni interne del Paese. Le proteste nelle regioni meridionali della Tunisia nel 2008 non sono mai arrivate a Tunisi allora, ma esse sono finalmente riuscite a raggiungere la città lo scorso gennaio.

E, significativamente, vi ha partecipato un notevole numero di avvocati e altri professionisti, molti dei quali erano disoccupati. Non bisogna dimenticare che rispetto ad altri Paesi musulmani la Tunisia ha una popolazione molto istruita e professionalmente sofisticata, ma la disoccupazione raggiunge il 30-35%. Così la partecipazione delle classi professionali ha dato inizialmente una grande vitalità al movimento.

Ma inevitabilmente, in una certa misura, dopo che ai movimenti del lavoro si sono unite le classi professionali, è emersa una sorta di divisione: la classe colta è ansiosa di riavere stabilità e ordine, mentre i lavoratori credono che preoccuparsene troppo produrrà le stesse condizioni da cui ha cercato di fuggire.

Un’altra cosa da sottolineare è che parte dei disordini è scoppiata non a causa della disoccupazione, ma anche a causa della scarsità di viveri che era a sua volta, almeno in parte, un risultato delle politiche neoliberiste imposte dai governi e dalle élite che rappresentavano e che avevano stretto alleanze con le potenze occidentali (era anche in parte un risultato degli effetti dei cambiamenti climatici in diverse parti del mondo). Una delle cose che sarebbe stato positivo per questi movimenti portare in superficie è quanto i Paesi europei e gli USA siano stati influenti nell’imposizione di queste politiche che erano responsabili della scarsità di cibo e della massiccia disoccupazione di cui le popolazioni hanno sofferto in anni recenti.

In conclusione, lasciatemi dire che se Seyla Benhabib ha espresso preoccupazione per le potenziali derive giacobine dei moti rivoluzionari della primavera, io temo di essere più preoccupato della reazione controrivoluzionaria ai movimenti. Il dato evidente è che è troppo importante per gli USA mantenere il controllo non solo delle risorse energetiche, ma di una gamma di stati clienti nella regione al fine di mantenere il controllo complessivo di quelle risorse e dell’influenza geopolitica generale. Tutte le questioni familiari sono in gioco. Per citarne solo una, come Eisenhower ha sottolineato molto tempo fa, un complesso militare industriale ha bisogno di questi regimi in varie parti del mondo per le sue armi – un Paese con un’economia come quella degli Stati Uniti deve creare uno sbocco per le sue armi, dal momento che l’industria militare sovvenziona un intero comparto del settore aziendale tecnologico. Questo è solo un esempio. E ho già detto che il petrolio è ovviamente un altro esempio. Quindi, c’è una tremenda posta in palio nel mantenere le cose com’erano. Per questo motivo penso che la preoccupazione principale sia la controrivoluzione, e solo secondariamente le derive giacobine.

Traduzione di Salvatore Corasaniti

 

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