Al Jazeera, l’all-news che fa paura
Daniele Castellani Perelli 17 dicembre 2006

Ma Al Jazeera da che parte sta? È veramente la portavoce di al Qaeda e degli islamisti? L’ultimo libro di Donatella Della Ratta, giovane studiosa di media arabi, fa piazza pulita di un bel po’ di pregiudizi intorno alla tv satellitare del Qatar. Lungi dal “fomentare il terrorismo”, come pretendono diversi esponenti conservatori occidentali, Al Jazeera è una tv autenticamente pluralista, in cui trovano spazio tutte le voci dell’irrequieta società araba (dalle più conservatrici alle più moderniste, come dimostra il caso della psichiatra siriano-american Wafa Sultan, che il 21 febbraio, durante un talk show sulla tv dell’emirato, ha apertamente denunciato l’interpretazione fondamentalista dell’Islam).
Al Jazeera è una tv scomoda. Invisa ai governi arabi e a quelli occidentali, è invece molto amata dalle popolazioni arabe. Da quando è nata, nel novembre 1996, gli occidentali l’accusano di essere anti-occidentale e di istigare alla violenza, mentre i governi arabi le imputano di essere filo-occidentale, e così in pochi anni è stata già al centro di 500 rotture diplomatiche. Nel mondo arabo è malvista perché concede molto spazio alle opposizioni ai regimi in carica, cosa che la distingue dalla concorrente araba Al Arabiya, più “moderata” e più vicina ai governi. Per questo nel ’98 la Giordania ha chiuso per 4 mesi l’ufficio di Al Jazeera a Amman, e nel 2000 Saddam Hussein si è ufficialmente lamentato, come un anno dopo ha fatto anche il principe saudita Abdullah (tuttora l’Arabia Saudita non permette ad Al Jazeera di seguire il pellegrinaggio a La Mecca). Gli Usa la considerano un nemico da dopo la guerra in Afghanistan, quando cominciò a mandare in onda i video di Al Qaeda: l’America, che le ha bombardato per errore (?) gli uffici di Bagdad, non le perdona l’uso di termini come “martiri” e “resistenza irachena”.

L’opinione e l’opinione contraria
 
In realtà Al Jazeera è criticata da tutti perché dà voce a tutti, perché la sua linea editoriale ufficiale è “l’opinione e l’opinione contraria”, come si evince dai suoi appassionati talk-show. Dando voce anche agli oppositori dei regimi (pratica rivoluzionaria nel mondo arabo), è considerata un “Parlamento satellitare” in miniatura, o il “paese” più democratico del Medio Oriente, o addirittura “il primo vero partito di opposizione che si affaccia sulle scene arabe”, una specie di sostituta dei partiti politici. Secondo un sondaggio Gallup (americano) del 2002 i suoi spettatori sono i più filo-occidentali, tra tutti quelli delle tv arabe. E una volta il ministro israeliano Gideon Ezra ha dichiarato: “Vorrei che tutti i media arabi fossero come Al Jazeera”.
Tuttavia il libro di Della Ratta, più che occuparsi delle posizioni politiche della tv, ricostruisce il contesto storico della sua nascita e della sua strabiliante espansione. La cosiddetta “Cnn araba” ha lasciato un segno profondo, anzitutto, sui media arabi. Ha infatti contribuito in modo decisivo alla diffusione di un giornalismo indipendente (non più il classico “giornalismo degli ossequi e dei saluti”). Ha avvicinato la gente alla tv, ad esempio tramite le telefonate dal vivo, e tanto da essere considerata troppo spesso asservita agli umori del pubblico. In diverse occasioni ha avuto il monopolio globale degli eventi (come nella guerra in Afghanistan), tanto da ribaltare lo schema del “flusso di informazione a senso unico” tra ovest ed est denunciato negli anni Ottanta dal “rapporto MacBride” dell’Unesco. Ha diffuso un modello arabo dei canali all-news (da allora sono nati Al Arabiya, l’americana Al Hurra, un canale francese e uno iraniano, tutti in lingua araba). Ha portato sullo schermo temi che erano considerati tabù, come il ruolo della donna e la democrazia. Ha diffuso format internazionali come Big Brother, e nuovi generi televisivi, come i fortunatissimi talk show.
 
Gli effetti sul mondo arabo
 
Ma Al Jazeera ha avuto grandi effetti anche sulla società araba. Ha diffuso un panarabismo culturale e dal basso, diverso da quello politico e dall’alto avanzato dall’egiziano Nasser negli anni Sessanta. Per molti sta contribuendo decisamente alla democratizzazione della regione, e per tutti sta facendo prendere coscienza di sé ai popoli arabi. Storicamente rappresenta una svolta nel panorama dei media arabi, che prima era dominato da Egitto, Arabia Saudita e Libano. Se quest’ultimo ha una storia particolare (pluralismo di operatori e di contenuti, dovuti al pluralismo etnico interno), negli ultimi cinquant’anni Cairo e Riad si sono contesi la leadership mediatica panaraba per poter rivendicare l’egemonia politica della regione. L’Egitto ha dominato tra i Sessanta e i Settanta, grazie all’ambizione nasseriana e alla sua grande tradizione artistica, ma non aveva risorse sufficienti. L’Arabia Saudita ha preso il posto dell’Egitto, quando nel 1978 questo è stato espulso dalla Lega Araba in seguito agli accordi di Sadat con Israele. I sauditi però, al contrario degli egiziani, avevano l’hardware (soldi per metter su strutture transnazionali) ma non il software (i contenuti), per i quali si sono infatti affidati agli egiziani. Le loro tv panarabe, gestite da privati legati alla famiglia reale (quindi, di fatto, tv pubbliche), non potevano inoltre spingersi troppo in là, e hanno rinunciato a fare informazione.
Solo dopo l’arrivo di Al Jazeera il mercato si è riaperto, e sono nate le altre reti all-news come Al Arabiya. Al Jazeera è proprietà del governo del Qatar, ma per statuto è “indipendente”. Tace sui problemi del Qatar (con la giustificazione che è un paese troppo piccolo per poter interessare una vasta audience internazionale), ma sul mondo arabo dice ciò che vuole: così si fa strumento di marketing del nuovo e moderno Qatar, a cui ogni tanto crea problemi diplomatici. I sauditi, che controllano la grande maggioranza delle inserzioni pubblicitarie delle tv arabe (possiedono, tra l’altro, le filiali arabe delle grandi multinazionali occidentali), boicottano clamorosamente Al Jazeera, troppo liberale e spesso critica verso il regno di Abdullah. Così il canale del Qatar perde ogni anno tra i 10 e i 13 milioni di dollari, e nonostante sia la tv araba di maggiore successo è solo la settima per introiti derivati dalla pubblicità. La privatizzazione, ipotizzata, rischia di far cadere la tv nelle mani sbagliate.
 
Un futuro globale, in inglese
 
Nonostante le perdite economiche, Al Jazeera però si espande. Ha già lanciato un canale di sport, e lancerà presto uno per bambini, uno di documentari e, soprattutto, un all-news in lingua inglese, atteso per aprile: «La Cnn International guarda il mondo da una prospettiva americana – ha dichiarato Nigel Parsons, direttore in pectore di questa nuova creatura, Al Jazeera International – Al Jazeera News lo racconta da un punto di vista arabo, mentre noi ci sforzeremo di leggerlo da un’angolazione globale e multiculturale».
Il libro di Della Ratta ha il merito di spiegare, con stile chiaro, che Al Jazeera è tutt’altro che un’agente del Male, come fanno mostra di credere in molti anche in Italia. La stessa tesi è esposta da Voices of the new arab media: Iraq, al-Jazeera and Middle East politics today di Marc Lynch, un libro appena uscito in America e ottimamente recensito da Newsweek. Scoprire che Al Jazeera non è un avamposto del terrorismo islamista, come molti credevano, conferma che il mondo arabo è molto più complesso di quanto sia fatto credere in Occidente. Dai media occidentali.

Donatella Della Ratta
Al Jazeera. Media e società arabe nel nuovo millennio
Bruno Mondadori, 2005, pp. 272, 13,50 euro