L’attacco israeliano alla Freedom Flotilla ha provocato una crisi senza precedenti nei rapporti bilaterali Turchia-Israele. Cosa c’è all’orizzonte?
E’ difficile pensare che le relazioni tra questi due paesi possano tornare forti come prima. Almeno non nell’immediato futuro. Non è un segreto che le relazioni tra Turchia ed Israele sono andate peggiorando in generale dalla guerra di Gaza in poi. Ma oggi, dopo tutto quello che è accaduto, non mi sembrano esserci più margini di manovra per qualunque tipo di accordo. Soltanto un cambio di politica e accordi concreti con i palestinesi potrebbero far migliorare le relazioni tra i due paesi. Ma per ora questa possibilità è, a mio avviso, pari a zero.
La Turchia intrattiene anche rapporti commerciali, oltre che militari, con Israele. Sarà rottura totale?
Sicuramente le relazioni commerciali continueranno, ad un certo livello, perché devono essere isolate da un contesto puramente politico. I due paesi hanno bisogno l’uno dell’altro. Israele non possiede una manodopera specializzata di base e accessibile, anche se ovviamente ha una forza lavoro di alto livello per quanto riguarda l’alta tecnologia. La Turchia dal canto suo non ha l’esperienza israeliana in quanto a tecnologia industriale, nuovi media, nuove tecnologie. Israele è inoltre un’importantissima fonte di turismo per la Turchia. Esiste infine una forte comunità ebraica turca emigrata in Israele che continua a mantenere forti legami con la Turchia.
Circa diecimila persone hanno protestato nel centro di Istanbul contro l’attacco israeliano. Si sono viste anche bandiere israeliane incendiate.
Lo sdegno pubblico per ciò che è accaduto è stato enorme e può soltanto peggiorare nei giorni a venire. A mio avviso questo è lo scenario peggiore che potesse verificarsi. Tra l’altro quella turca è una società molto emotiva. Come italiano lei ricorderà tutto ciò che accadde qui quando l’Italia si rifiutò di consegnare direttamente Ocalan alle autorità turche. Dimostrazioni, proteste e l’invito a boicottare i prodotti italiani. Oggi l’emozione per le vittime turche del blitz israeliano è forte, ma non bisogna dimenticare che la società turca cambia in fretta. I rapporti con la Grecia ad esempio erano in passato tesissimi. Oggi i due paesi hanno relazioni molto forti e la Grecia sta diventando il principale alleato turco all’interno dell’Unione Europea. Malgrado ciò occorre dire che in questo caso è accaduto qualcosa di diverso, soprattutto a livello sociale, in primis perché il popolo turco si sente direttamente messo in causa e poi per il fatto che si è creata col tempo un’empatia con la causa palestinese.
L’accordo tra Turchia e Brasile per permettere all’Iran di arricchire l’uranio ha contribuito a peggiorare le relazioni diplomatiche tra i due paesi?
Non bisogna dimenticare che, malgrado le critiche americane, quest’accordo è stato voluto dalla Casa Bianca, che ha implicitamente spinto la Turchia verso questa soluzione, anche se poi si è affrettata a definirla ‘insufficiente’. A livello sociale poi i cittadini turchi si chiedono come mai si usino due pesi e due misure e si parla tanto di Iran mentre è risaputo che Israele possiede armi nucleari ed anche sofisticate e non ha ancora firmato il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP). Se a questo si aggiunge la guerra dei simboli, ad esempio il ciclista israeliano aggredito, ed il fatto che Erdogan ripeta tutti i giorni che Israele deve arrestare la sua espansione coloniale nei Territori, allora appare chiaro che non mi sembra sia possibile contenere in questo momento il deterioramento delle relazioni turco-israeliane. Il risultato principale di questa situazione è l’esplosione dell’antisemitismo.
Erdogan non ha usato mezzi termini e ha accusato Israele di fare del ‘terrorismo di stato’.
Il primo ministro non ha sicuramente usato un linguaggio diplomatico. Quando si tratta di tenere discorsi in pubblico, che sono accuratamente preparati, Erdogan resta nei ranghi. Quando si tratta invece di reagire su un evento, le sue dichiarazioni spesso non aiutano. A livello di opinione pubblica però occorre dire che delle famiglie turche sono coinvolte in questa tragedia e la gente guarda la televisione, dunque lui non può tacere. Oltretutto c’è un elemento di calcolo politico. Erdogan deve fare i conti con la ricostruzione politica della sinistra, del partito repubblicano Cumhuriyet Halk Partisi (CHP), con i problemi economici e con le critiche piovute dopo la tragedia dei minatori morti (a Karadòn, sulle rive del mar Nero, ndr), quando ha dichiarato che ‘sono cose che accadono’. Non voglio insinuare che le sue parole siano dettate esclusivamente da un calcolo politico, sicuramente c’è anche l’elemento emotivo, ma questo tipo di linguaggio ha il risultato di creare consenso e di posizionarsi in difesa di quella parte della società civile turca che si sente direttamente toccata da ciò che è accaduto.
Cosa pensa dello scontro avvenuto in mare? C’è qualche altra responsabilità oltre quella dei commando israeliani?
Forse andrò controcorrente, ma tutte le persone ragionevoli sanno che il Freedom Flotilla non ha certo evitato lo scontro. D’altronde sono stati trovati anche coltelli e pistole a bordo (secondo il quotidiano turco Milliyet i familiari dei tre dei quattro turchi morti nel blitz hanno rivelato che le vittime cercavano il martirio, ndr). Ma tutto ciò non potrà mai giustificare il comportamento degli israeliani. Nessuno meglio di loro conosce il mondo dei simboli. Effettuare un’operazione del genere, in acque internazionali, è un atto ingiustificabile.
E come ne esce l’immagine di Israele in Turchia e nel mondo?
Quest’atto forse potrà aiutare il Likud a recuperare consensi, potrà aiutare temporaneamente Lieberman e Netanyahu sul fronte interno, ma credo che abbia danneggiato enormemente l’immagine d’Israele. L’elemento più problematico in tutta questa storia è che nei primi venti anni di esistenza dello stato ebraico, quest’ultimo veniva percepito negli Usa, in Europa ma anche in Turchia, come uno stato nato dalle ceneri dell’Olocausto, un luogo di rifugio per un popolo che aveva subito un’enorme ingiustizia. Oggi, nell’opinione pubblica mondiale, Israele si è trasformato da vittima in carnefice. Uno stato troppo arrogante che calpesta tutto e tutti e che non sembra volersi fermare davanti a niente.