Ripercorrendo brevemente la storia dei quattro anni di Abu Mazen, quale ritiene siano stati gli errori che hanno condotto alla crisi da cui il governo palestinese non riesce a uscire?
Abu Mazen è stato incapace di dar vita ad un governo di unità nazionale e è caduto nella trappola dei gruppi estremisti, si è lasciato andare alla parte più intransigente dei gruppi di sicurezza. Questo è stato il suo più grande errore. Parlo da un punto di vista esclusivamente politico. Al Fatah è in crisi da almeno 20 anni e le elezioni del 2006 vinte da Hamas hanno reso ufficiale questa crisi. Ma Abu Ala prima, e Abu Mazen in questi ultimi anni, non hanno risolto nessuno dei problemi che affliggono il governo palestinese: non hanno ad esempio liberato il partito e l’ANP dai politici corrotti, che sono la vera spina nel fianco della politica palestinese. E a vederla con realismo, ora è difficile parlare di uno stato palestinese: non ce ne sono più le tracce. Dunque, non prevedo un futuro migliore del recente passato.
Secondo un sondaggio del Palestinian Centre for Policy and Survey Research (Pcpsr), effettuato tra il 3 e il 5 dicembre 2008 su un campione di 1270 adulti, intervistati in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, quasi due terzi dei palestinesi ritengono che il mandato del leader di Fatah debba avere termine nel gennaio prossimo, mentre tre su quattro si dicono a favore di elezioni politiche anticipate, da tenersi nella prima metà del 2009. Cosa succederà il 9 gennaio? Abu Mazen rimarrà presidente dell’ANP?
Questo è quello che dicono da Ramallah. Abu Mazen potrebbe rimanere al potere per un altro anno. Ma queste voci potrebbero essere smentite anche domani. L’altra soluzione in ballo, prevista dalla Legge fondamentale palestinese, è che il ruolo di Presidente dell’ANP venga temporaneamente ricoperto dal Presidente del consiglio legislativo, Abdel Aziz Dweik, che però si trova rinchiuso in un carcere israeliano. In questo caso sarebbe il suo vice, Ahmed Baher, a sostituirlo. Secondo me, la prima ipotesi è quella più verosimile. Il che significa che per un altro anno la situazione in Palestina non migliorerà, e mi riferisco ai territori occupati, ad Hamas e ai posti di blocco israeliani che circondano ogni città palestinese compreso il nostro parlamento, e infine agli accordi di pace con Israele. Bene che va le cose rimarranno nella stessa posizione in cui si trovavano ieri e si trovano oggi. In una parola sola: stallo per il popolo palestinese.
La pace tra Israele e il governo palestinese passa per gli Usa. La vittoria di Barack Obama potrebbe portare un vento favorevole? C’è la possibilità che si ricreino le condizioni che portarono nel 1993 agli accordi di Oslo e che sia per i palestinesi sia per gli israeliani furono una reale iniezione di ottimismo?
Nel 1993 i protagonisti della scena internazionale erano altri: Rabin, Arafat e Clinton erano gli uomini giusti al momento giusto. Ma purtroppo sappiamo tutti com’è andata. Oggi il contesto è diverso, soprattutto perché gli eventi che si sono verificati, l’11 settembre 2001, la guerra in Iraq e quella in Libano dell’agosto 2006, hanno modificato la rete della diplomazia internazionale. Per quanto riguarda gli Usa, Obama non potrà mai adottare la stessa strategia politica adottata da George W. Bush perché sarebbe un altro suicidio. Il neo Presidente americano sembra più aperto al dialogo e in ogni caso fortemente intenzionato a migliorare l’immagine e il prestigio del suo Paese all’estero, in particolar modo nel Medio Oriente. La scelta di nominare Hillary Clinton Segretario di Stato è stata ottima. La Clinton, a differenza di Condoleeza Rice, conosce molto bene la zona e la realtà in cui viviamo. Tutti si augurano che il futuro per il Medio Oriente sia più roseo di ora, e sono certo che l’Amministrazione Obama lavorerà per migliorare il rapporto degli Usa con l’Iraq, l’Afghanistan e con noi. Perché comunque la si metta, la stabilità in Medio Oriente dipende dalla pace tra israeliani e palestinesi.