Nato nel 1921 a Tunisi e autore di una tesi di dottorato sulla dinastia degli Aghlabidi discussa alla Sorbona nel 1968, Muhammad Talbi è uno degli storici arabi contemporanei più rispettati e senza dubbio una delle figure più influenti del riformismo islamico di oggi. Specializzato in storia medievale del Nord Africa e docente presso l’università di Tunisi, nel mondo musulmano e nel mondo accademico occidentale l’intellettuale tunisino è considerato un’autorità anche in materia di esegesi coranica e di pensiero islamico. Proprio come studioso dell’Islam, Talbi è particolarmente attento a far emergere e a elaborare concettualmente la natura intrinsecamente pluralista di questa religione, sottolineando l’importanza che in essa rivestono le dimensioni del dialogo (hiwar) e del mutuo rispetto (ihtiram mutabadal), spesso travisate non solo dal fondamentalismo estremista, ma anche da quella parte dell’immaginario occidentale che tende a far coincidere l’Islam con le proprie frange radicali. Non è un caso, infatti, che Talbi sia molto impegnato nella promozione del dialogo interreligioso, in particolare tra l’Islam e le altre religioni.
Fautore convinto dell’ijtihad – ovvero dello sforzo interpretativo razionale che ogni musulmano deve compiere nel rapportarsi con i princìpi religiosi, morali e giuridici dell’Islam – l’anziano decano di Tunisi è una delle voci più autorevoli del cosiddetto «modernismo» islamico. Se, come accade per molti dei riformisti di cui stiamo parlando, uno degli obiettivi principali di Talbi è quello di trovare una sintesi armoniosa tra i precetti coranici e la modernità – specie, per quel che lo riguarda, rispetto al problema della democrazia, dei diritti umani e dell’eguaglianza tra i sessi – egli rifiuta però di andare a ricercare i fondamenti di quest’ultima nel Corano stesso, poiché ritiene che una rigorosa esegesi del testo sacro che tenga conto delle condizioni storiche della rivelazione non permetterebbe in alcun modo di trarne principi (né tantomeno leggi) politici adeguati al mondo contemporaneo.
Come molti cosiddetti «modernisti» islamici, infatti, lo studioso minimizza e smonta con rigore esegetico la dimensione politica e sociale dell’Islam, cara, invece, sia ai fondamentalisti che a molti riformisti: quelli più secolari, come per esempio al-Jabri (che individua nella shurà, «consultazione», una sorta di pre-democrazia), ma anche quelli che assumono una prospettiva più «interna» all’Islam, come Ahmad Moussalli o Hasan Hanafi. Della religione, Talbi enfatizza piuttosto la dimensione individuale e i principi etici, che rappresentano tuttora una fonte di insegnamento universale, mentre la maggior parte dei precetti politici e sociali del Corano – ciecamente seguiti dall’esegesi letteralista dell’islamismo radicale – debbono essere compresi come appartenenti al contesto storico in cui furono rivelati.
«Il Corano non è una costituzione», spiega Talbi, e ostinarsi ad applicare i precetti coranici in maniera letterale significa fossilizzare una Rivelazione che è invece intrinsecamente viva e dinamica, la cui grandezza sta proprio nel potersi adattare alla vita in ogni tempo e in ogni luogo. Proprio per questo, la vera religione è etica, pietistica e apolitica, mentre la politica, dal suo canto, dovrebbe astenersi dal far propria qualsivoglia ingiunzione o concezione religiosa, i cui dettagli non rientrano e non devono rientrare nella sua sfera di competenza. Al massimo, afferma Talbi, i principi universali contenuti nel Corano possono fungere da «ponte» tra l’Islam e la democrazia moderna, ma – questo ragionamento è rivolto soprattutto ai riformisti – pretendere che i fondamenti della democrazia moderna esistessero già nell’Arabia antica e che la sua realizzazione nel mondo musulmano non rappresenti altro che la realizzazione della volontà divina sarebbe infondato.
Fino ad oggi censurato in alcuni paesi musulmani, Muhammad Talbi è autore di numerosi libri, molti dei quali sono anche tradotti o direttamente redatti in francese, come per esempio l’opera Un respect têtu (Un rispetto ostinato), scritta insieme al filosofo Olivier Clément. Purtroppo, però, i suoi due saggi sul pensiero islamico più importanti dal punto di vista filosofico, Ummat al-Wasat (La comunità della moderazione) e ‘Iyal Allah (Le famiglie di Dio), entrambi in arabo, non sono stati ancora tradotti. In italiano, è stato pubblicato il suo saggio, molto interessante, Universalità del Corano (Jaca Book, 2005).