Renata Pepicelli è assegnista di ricerca presso l’Università di Bologna e esperta di questioni di genere e Islam. Ha curato per Resetdoc il dossier "Quello che vogliono le donne arabe".
Gli articoli pubblicati in questo dossier offrono da angolature diverse degli spaccati capaci di gettar luce sulla condizione delle donne nell’Islam e smontano al tempo stesso una serie di pregiudizi fortemente radicati nel pensiero occidentale. Quattro studiose, la giurista Valentina Donini, l’esperta di questioni di genere Suad Eddouada, la sociologa Monica Massari e la storica Margot Badran, raccontano la varietà della condizione femminile nell’umma islamica, la comunità musulmana che si estende da Oriente a Occidente, da sud a nord. Raccontano, in altri termini, dell’impossibilità di parlare di donna musulmana al singolare: la condizione femminile infatti cambia, e in alcuni casi anche molto, da paese a paese, a seconda delle singole storie nazionali e delle leggi che queste ultime hanno prodotto.
Donini illustra bene nel suo contributo questo punto, descrivendo la profonda diversità dei codici della famiglia che regolano in maniera differente lo status della donna nei paesi del mondo arabo. Se la Tunisia si è dotata già nel 1956 di un codice all’avanguardia, l’Arabia Saudita ancora oggi non fa riferimento ad un diritto moderno e applica la sharia. Mentre l’Iraq registra dei passi indietro, il Marocco ha riformato nel 2004 il suo codice, assicurando alle donne maggiori diritti all’interno della famiglia. Espressione di una singolare sintesi tra istanze femministe e rivendicazioni islamiste, il nuovo codice marocchino della famiglia esprime i cambiamenti in corso nella monarchia maghrebina e le aspirazioni al rinnovamento di un paese che cerca di coniugare le trasformazioni sociali con un Islam reinterpretato alla luce delle esigenze del XXI secolo. Come dimostra Eddouada, le donne marocchine oggi sono considerate le portatrici di un progetto nazionale di modernizzazione e cambiamento che investe l’intera comunità e tutti i campi della società. Le donne stanno infatti aumentando il loro potere non solo nella famiglia e nella sfera sociale e politica – è in crescita il loro numero in parlamento, nei partiti e nelle associazioni – ma anche in quella religiosa. Emblematica in tal senso è la scelta del governo di istituire la figura delle murchidates, esperte in questioni religiose che hanno il compito di consigliare e guidare le donne in un più consapevole approccio all’Islam.
Ma la diversità della condizione femminile non si limita ai confini dei paesi a maggioranza musulmana, la si ritrova anche ad Occidente, laddove, in seguito alle migrazioni e alle conversioni, sta prendendo forma un nuovo Islam che non è più riconducibile ai paesi di origine dei migranti ma ha delle caratteristiche a sé stanti. Le donne musulmane che vivono in Europa, così come negli Stati Uniti, hanno plurime identità e appartenenze, e con la loro partecipazione attiva alle società in cui vivono mostrano di non poter essere confinate dentro un’unica monolitica etichetta che le vuole sottomesse, condannandole ad essere simbolo di un’alterità – l’Islam – che, soprattutto dopo l’11 settembre, fa paura, e che molti vorrebbero cancellare dall’Occidente. In Europa le donne musulmane, scrive infatti Massari, sono diventate le principali vittime della violenza verbale e fisica degli xenofobi. Maggiormente visibili e riconoscibili rispetto agli uomini, sono le prime vittime dell’islamofobia, un fenomeno in crescita che secondo Massari non è una semplice intolleranza religiosa, ma una nuova e pericolosa forma di razzismo.
Nonostante gli attacchi a cui sono soggette, e nonostante gli stereotipi che le vorrebbero tutte vittime e sottomesse, le donne musulmane – come racconta Badran – sono più attive che mai nel rivendicare i propri diritti su scala locale e globale, nel ricercare una propria via all’emancipazione che non si rifaccia necessariamente ai valori occidentali ma che si costruisca a partire dalla reinterpretazione della propria cultura e religione.