L’Iraq è ancora costantemente in agitazione. L’Iran e la Siria continuano a essere saldamente ostili all’Occidente, mentre il recente conflitto in Libano ha mostrato il ruolo di Hezbollah e l’avvicinarsi di Hamas a gruppi sciiti militanti in chiave anti-israeliana: sembra che negli ultimi mesi l’avvertimento lanciato da re Abdullah di Giordania nel 2004 riguardo una “mezzaluna sciita” sia tornato alla ribalta esprimendo in maniera eloquente il disagio degli arabi sunniti nei confronti dell’altra faccia della luna islamica.
Oggi gli sciiti rappresentano circa il 10–15% della popolazione musulmana e costituiscono una maggioranza religiosa in Iran, Iraq, Libano, Azerbaigian e Bahrein mentre sono un’importante minoranza in Afghanistan, Pakistan, Siria, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. Di fatto, ben lontano dall’essere unitario, il mondo musulmano è attraversato da divisioni e separazioni, la più evidente delle quali è quella tra Sunniti e Sciiti e risale addirittura alla morte di Maometto. Ma cos’è che rende Sunniti e Sciiti diversi seppure facce della stessa luna? La risposta è nella storia islamica.
Poiché l’Islam non aveva un’organizzazione centralizzata, dopo la morte di Maometto si verificarono spesso guerre di successione che divisero la umma. Abu Bakr, il primo dei “califfi ben guidati” – che erano stati tutti vicini a Maometto nel corso della sua vita – venne scelto come erede del profeta. Ma se Abu Bakr morì di morte naturale, i successivi tre califfi vennero assassinati: Uma ibn al-Khattab nel 644, Uthman ibn Affan nel 656, e Ali ibn Abi Talib nel 661. Fu dopo l’uccisione di Ali che la sua fazione diede vita alla confessione sciita e la frattura si fece più profonda quando anche i figli di Ali, Hasan e Husayn, morirono entrambi nella battaglia di Kerbala.
Come ricorda Vartan Gregorian nel suo libro Islam. Un Mosaico, Khalid Durán nota che: «Il conflitto tra sunniti e sciiti somiglia a quello tra ebrei e cristiani. Proprio come i cristiani hanno ritenuto gli ebrei responsabili dell’uccisione di Cristo, gli sciiti considerano i sunniti responsabili dell’assassinio di Ali e dei suoi figli, Hasan e Husayn». Nondimeno, le ragioni iniziali della rottura furono nel sistema adottato per la successione di Maometto. Gli sciiti sostenevano che solo coloro che avevano legami di sangue con il Profeta potessero succedergli, mentre i sunniti preferivano un sistema elettivo. In sostanza, gli sciiti ritenevano che Ali – non Abu Bakr, né gli altri due califfi ben guidati – dovesse succedere al Profeta e che Maometto avesse preso questa decisione negli ultimi giorni della sua vita.
La principale confessione sciita è quella dei duodecimani, diffusa nell’Iraq meridionale, in Iran e in India. Essa considera fondamentale l’imamato, la linea diretta di successione dalla famiglia di Maometto formata da una catena di dodici imam, a partire da Ali e i suoi figli. Il dodicesimo e ultimo imam sarebbe ancora vivo e dovrebbe riapparire un giorno in qualità di messia per mettere fine al potere dei tiranni e far trionfare la giustizia. I duodecimani ritengono gli imam infallibili e senza peccato mentre secondo i sunniti un imam è semplicemente una guida nella preghiera. Un altro punto controverso divide i sunniti dagli sciiti. Per i primi il Corano è stato creato mentre per i secondi è sempre esistito.
La giustizia sciita si basa sul Corano, sulla tradizione riguardante il profeta e gli imam, come sul consenso tra gli studiosi. È convinzione sciita che finché il dodicesimo imam non riapparirà la sua volontà sarà rappresentata dai giuristi, perché solo questi studiosi sono in grado di interpretare il Corano e altre fonti della legge islamica. È per questa ragione che ai principali giuristi sciiti viene attribuito il titolo di ayatollah che significa “segno di Dio”. D’altro canto, invece, i sunniti seguono le quattro scuole giuridiche islamiche (hanafita, malikita, shafita e hanbalita) che sorsero nel IX secolo come espressione della sunna (costume, tradizione) nel tentativo di formalizzare la dottrina islamica.
Il termine sunna denota la tradizione del profeta: le sue azioni, i suoi detti come anche quelli dei suoi compagni che i sunniti considerano rappresentanti e garanti della tradizione. Contrariamente agli sciiti, i sunniti ritengono che la sunna e il riconoscimento dell’autorità dei califfi ben guidati siano la regola generale per la pratica politica, religiosa e giuridica. Oggi, tuttavia, nell’Islam sunnita, il riconoscimento delle quattro scuole giuridiche come garanti della tradizione del Profeta non è più indiscussa.