Alessandro Rosina è professore associato di Demografia all’Università Cattolica di Milano
Tra le varie trasformazioni che stanno mutando i connotati demograficosociali del nostro paese una delle più importanti, e più dense di implicazioni per il futuro, è senz’altro il processo di immigrazione. Ancora negli anni Ottanta i flussi di entrata erano del tutto modesti e molto bassa era, di conseguenza, anche la quota di persone di diverse nazionalità che vivevano sul territorio italiano. Negli ultimi quindici anni però il quadro è notevolmente cambiato. Basti pensare che la presenza straniera era inferiore al mezzo milione nei primi anni Novanta, mentre risulta attualmente (quella regolare) vicina ai tre milioni, vale a dire circa il 5% della popolazione totale. Ma si sale al 10% in alcune province dell’Italia settentrionale. Ancora più elevata è poi l’incidenza nelle età giovani-adulte: la fascia 18-39 raccoglie infatti meno del 30% della popolazione italiana, ma più del 50% della popolazione straniera.
La sempre maggiore presenza straniera, specie in età lavorativa e riproduttiva, significa quindi che diventa anche sempre più comune per un italiano, in una società non ghettizzata, trovarsi ad avere una persona con nazionalità diversa come compagno di viaggio su un mezzo pubblico, come inquilino dello stesso condominio, come collega di lavoro, come genitore dei propri figli. Il punto di incontro più ravvicinato tra autoctoni e gente che viene d’oltremare o d’oltralpe è l’unione di coppia, atta a produrre nuovi italiani. Si tratta quindi di un punto di osservazione privilegiato per capire come sarà il futuro del nostro (in senso lato) paese. Del resto nella terra che ha come fondamenti culturali la Divina Commedia e i Promessi sposi, l’amore (anche con la “a” minuscola) si presume conti più di ogni regola e superi ogni ostacolo. Ecco allora che, con la crescita dei flussi migratori, si osserva anche un marcato aumento dei matrimoni nei quali almeno uno dei due coniugi è straniero.
Secondo i dati statistici, erano meno del 5% sul totale a metà anni Novanta, e sono ora quasi il 15% (e parallelamente, nello stesso periodo, sono anche aumentate esponenzialmente le nascite con almeno un genitore straniero, passate dal 2% al 13%). In ben due unioni su tre che coinvolgono almeno un coniuge straniero, l’altro coniuge è un italiano. Sono questi quelli che, nel linguaggio comune (ma anche nei rapporti dell’Istat), vengono chiamati “matrimoni misti”. Alcune considerazioni però s’impongono. Innanzitutto è teoricamente “misto” anche un matrimonio celebrato nel nostro paese tra coniugi entrambi non italiani e di nazionalità diversa tra di loro. Oltre ai matrimoni bisognerebbe poi considerare anche le unioni non coniugali. Più in generale, va precisato che il criterio della nazionalità, comodo dal punto di vista statistico, è però solo parzialmente in grado di cogliere il più complesso fenomeno dell’incontro e della mescolanza tra culture diverse. Si deve, infine, anche tener presente che non tutti i matrimoni misti si formano come conseguenza dell’immigrazione, a volte ne sono invece la causa. Ovvero, non sempre il partner straniero è già presente nel territorio italiano quando si forma la coppia. È anche possibile, infatti, che l’incontro avvenga come conseguenza del viaggio di un/a italiano/a all’estero per motivi di studio, lavoro o di piacere.
Se non esiste una definizione pienamente condivisa di “matrimonio misto”, vi sono, tuttavia, alcune ragioni che possono giustificare la maggiore attenzione, almeno a un primo livello, al vincolo coniugale e alle unioni tra italiani e stranieri. Il motivo principale fa riferimento alla rilevanza che tale fenomeno riveste sul processo di assimilazione degli immigrati. A differenza delle unioni di fatto, che instaurano un rapporto privato tra i membri della coppia, il matrimonio implica infatti un riconoscimento sociale, al quale corrispondono giuridicamente ben definiti diritti e doveri (con ricadute sia all’interno che all’esterno della coppia). In particolare, consente un accesso privilegiato all’acquisizione dello status di cittadino italiano, evento che costituisce dal punto di vista formale (ma non necessariamente sostanziale) il punto più avanzato del processo di assimilazione. A tutt’oggi nel nostro paese l’accesso alla cittadinanza italiana avviene, del resto, nella grande maggioranza dei casi (oltre l’85%) tramite matrimonio misto.
Il caso degli Stati Uniti
Interessante è il caso degli Stati Uniti, ma anche molto particolare, soprattutto per l’enfasi data agli aspetti relativi alla razza. Bisogna aspettare il 1967 perché la Corte Suprema arrivi a dichiarare incostituzionali le leggi che in molti Stati vietavano i matrimoni interrazziali (Antimiscegenation Laws). L’obiettivo di tali leggi era soprattutto quello di prevenire i matrimoni tra bianchi e non bianchi, mentre meno soggette a restrizioni giuridiche erano in generale le unioni tra persone non bianche di razze diverse. Ciò denota l’evidente intento di preservare il potere e i privilegi del gruppo dominante rispetto a tutti gli altri. Dal punto di vista quantitativo, alla fine degli anni Sessanta le coppie coniugate interrazziali (intermarriages) erano ancora relativamente rare, costituivano circa lo 0,7% (300 mila) del totale. Negli ultimi decenni del XX secolo la crescita è stata continua e consistente, tanto che si stima attualmente un valore dieci volte maggiore, pari a circa il 7% (oltre tre milioni).
Negli Stati Uniti, gli intermarriages vengono identificati sulla base di una classificazione delle “razze” che al censimento del 2000 prevedeva ufficialmente cinque categorie (indiani americani, asiatici, neri, nativi delle isole del Pacifico, bianchi). Viene inoltre aggiunta la distinzione tra ispanici e non ispanici. È stata poi, per la prima volta, prevista anche la possibilità per una persona di autoidentificarsi come appartenente a più di una razza. Si tratta di un importante segnale di riconoscimento della crescente presenza di una popolazione americana multirazziale, frutto diretto dei matrimoni misti. All’ultimo censimento circa 7 milioni di persone si sono autoclassificate in tale categoria (2,5% della popolazione). Un valore rilevante ma considerato sottostimato, dato che alcune persone potrebbero non essere consapevoli di avere un background multirazziale. Inoltre vari rappresentanti di minoranze hanno suggerito ai loro membri di indicare una sola razza per non perdere peso demografico e quindi anche, potenzialmente, politico. Come effetto dell’immigrazione, della mescolanza tra le razze e della fecondità differenziata, il peso della popolazione bianca è passato dall’88% del 1970 a meno del 75% attuale. L’accettazione sociale della interrazzialità e della multirazzialità è del resto crescente, anche se le resistenze maggiori continuano ad arrivare proprio dai bianchi.
Secondo un’indagine Gallup condotta alla fine del 2003, due terzi dei bianchi americani dichiarano che accetterebbero il matrimonio tra un figlio e una persona di razza diversa. Il nocciolo duro, invece, dei favorevoli a leggi che proibiscano unioni di tale tipo è sceso al 10% (un valore comunque di rilievo). Nonostante le maggiori resistenze, gli intermarriages tra bianchi e non bianchi sono comunque anch’essi in forte aumento. Sono saliti dallo 0,4% del 1970 a quasi il 4% attuale rispetto al totale delle coppie bianche. Lo stesso valore è invece superiore al 7% per i neri, al 15% degli asiatici. Più piccolo è il gruppo razziale e maggiore la probabilità di intermarriages. Si sale infatti oltre al 50% per gli indiani d’America e per gli hawaiani. Dato però che i bianchi sono la grande maggioranza della popolazione americana, in numero assoluto i matrimoni interrazziali più comuni sono quelli tra bianchi e non bianchi (l’80% di tutte le unioni miste). Un aspetto degno di nota sono le differenze di genere. Tra le coppie interrazziali, a prevalere nettamente è la combinazione marito bianco e moglie non bianca. I maschi bianchi tendono soprattutto a sposare donne asiatiche o ispaniche, molto più raramente quelle di colore più scuro. Viceversa, molto più comune è la combinazione opposta: la probabilità che un nero sposi una bianca risulta 2,5 volte più alta rispetto alla probabilità che un uomo bianco sposi una donna nera.
Una differenza molto rilevante che riduce le possibilità di matrimonio delle afroamericane (per il fatto che molti uomini del proprio colore prediligono le bianche, senza che ciò sia compensato da analoghe possibilità per le nere di trovare un marito bianco). Molte di esse rimangono pertanto nubili. È interessante però osservare che il contrario accade invece per le asiatiche, la cui probabilità di contrarre un matrimonio misto è molto maggiore rispetto a quanto vale per gli uomini di medesima appartenenza razziale. Tali differenze di genere tendono a risultare ancor più accentuate al crescere del titolo di studio. In particolare, tra gli afroamericani, a sposare una persona di diverso colore sono oltre il 10% dei maschi laureati e meno del 5% delle femmine. L’apertura verso l’intermarriage, oltre a crescere in generale con il livello di istruzione, risulta anche maggiore nelle generazioni più giovani. La percentuale di sposi di diverso colore sul totale delle coppie under 30 risulta essere quattro volte maggiore rispetto alle coppie over 60. Il trend degli ultimi trent’anni, i dati dei sondaggi di opinione, le caratteristiche socio-demografiche di chi sceglie l’intermarriage, sono tutti elementi che vanno nella stessa direzione nell’indicare un futuro degli Usa sempre meno bianco e sempre più costituito da famiglie e persone che scavalcano i confini delle diverse razze.
Il Regno Unito
In Europa, il caso più vicino a quello degli Stati Uniti è quello del Regno Unito, dove però, per motivi storici e culturali, l’enfasi è posta sui matrimoni “inter-etnici” piuttosto che su quelli “inter-razziali”. Secondo il censimento del 2001 il 2% delle coppie coniugate erano inter-etniche. Va considerato che l’incidenza più bassa dei matrimoni misti rispetto al caso degli Stati Uniti, è anche dovuta alla maggior prevalenza di popolazione bianca nel Regno Unito (oltre il 90% contro il 75% degli Usa). Presentano una propensione particolarmente elevata al matrimonio misto soprattutto i neri di provenienza caraibica (oltre uno su quattro è sposato con una donna di diversa etnia) e i cinesi (uno su cinque), si scende invece a circa il 2% tra i bianchi. Anche qui, come negli Stati Uniti, se l’intermarriage è più comune tra gli uomini neri che tra le donne, viceversa accade per la comunità cinese (le donne hanno probabilità doppia di matrimonio misto rispetto agli uomini). Data la maggiore numerosità della popolazione bianca, sul totale dei matrimoni misti prevalgono – in termini assoluti – quelli nei quali uno dei due coniugi appartiene a tale etnia. Al censimento del 2001, su 219mila coppie inter-etniche, erano 198mila infatti quelle con un partner bianco.
Nello stesso censimento, analogamente a quanto fatto negli Stati Uniti, è stata per la prima volta aggiunta anche la possibilità per una persona di autoidentificarsi come appartenente a più di una etnia (mixed ethnic group). Il valore ottenuto risulta non trascurabile, e corrisponde a 677mila persone (1,3% della popolazione). A prevalere all’interno di tale gruppo è la combinazione bianco–nero caraibico, seguita da bianco–asiatico. Il fatto che si tratti di un fenomeno recente, e destinato ad avere sempre più peso demografico in futuro, lo testimonia soprattutto il profilo per età: la metà della popolazione con etnia mista ha meno di 16 anni. Va inoltre considerato che tale gruppo è anche quello che tende maggiormente a contrarre matrimoni misti, contribuendo quindi ulteriormente alla crescita della Gran Bretagna inter-etnica. La complessiva maggior presenza dei neri caraibici nei matrimoni inter-etnici e tra le persone di etnia mista è dovuta in parte alla loro lunga presenza nel territorio britannico, e quindi anche alla loro maggiore assimilazione. Molte unioni miste sono, del resto, costituite da persone di seconda generazione. Un ulteriore possibile motivo è riconducibile al fatto che per tale comunità, rispetto per esempio a quelle di provenienza sudasiatica, è meno forte (se non praticamente assente) il controllo sociale e parentale esercitato sulla scelta del partner al fine di preservare l’identità culturale di origine.
La Francia
In tutto il mondo occidentale l’attenzione verso i matrimoni misti è cresciuta molto soprattutto a partire dagli anni Novanta. Per esempio, in Francia nessuno studio statistico era stato prodotto sul fenomeno prima dell’indagine Ined-Insee del 1992. A differenza di Gran Bretagna e Stati Uniti, dove, come abbiamo visto, l’attenzione è rivolta soprattutto alle coppie formate da persone di razza o etnia diversa (ma che spesso però vivono entrambe fin dalla nascita nel territorio del paese), in Francia il focus è invece sui matrimoni tra autoctoni e popolazione straniera. Si tratta quindi di un caso più direttamente confrontabile con la situazione italiana. L’interesse è, infatti, più concentrato sul legame con il processo di integrazione degli immigrati. Dal punto di vista quantitativo, i matrimoni celebrati annualmente nei quali uno solo dei coniugi è francese (mariages mixtes) erano attorno al 5% a metà anni Settanta. L’incidenza ha poi raggiunto l’8% a fine anni Ottanta, e si assesta attualmente sopra il 15%.
Sono maggiori i casi nei quali il coniuge francese è lo sposo (56%) rispetto a quelli nei quali è la sposa. Gli stranieri più coinvolti in tali unioni sono coloro che provengono dal Nord Africa (è questo il caso più tipicamente presente nel dibattito pubblico), seguiti da nazionalità europee. Ma molto comuni sono anche i matrimoni con asiatici. Interessanti sono, infine, le ricadute sulla fecondità. Nel contesto di un paese con un numero medio di figli per donna particolarmente elevato rispetto agli altri paesi occidentali, l’aumento maggiore negli ultimi anni è stato proprio quello relativo ai bambini nati da coppie miste, che costituiscono attualmente oltre l’11% delle nascite totali (con un incremento di oltre il 50% negli ultimi dieci anni). Minore è stata invece la crescita dei nati da genitori entrambi stranieri o entrambi francesi. Quella dei figli è una questione cruciale per i matrimoni misti e il loro successo. Come messo in evidenza da un dossier sull’argomento, uscito su “L’Express “ il 9 maggio 2002: anche per chi ha l’esprit large, la differenza tra culture comporta un conflitto quotidiano. “La rupture se joue presque toujours autour de l’éducation des enfants”.
L’Italia
Rispetto alla Francia, la presenza straniera in Italia è più recente e meno radicata. Ci si può quindi attendere che il processo di integrazione sia in fase meno avanzata e che l’incidenza dei matrimoni misti sia più ridotta. E infatti, secondo l’ultimo dato disponibile, quello fornito dall’Istat per l’anno 2005, le unioni coniugali tra italiani e stranieri ammontano circa a 23.500, vale a dire poco meno del 10% del totale dei matrimoni (contro oltre il 15% della Francia). Negli ultimi anni però il fenomeno è cresciuto molto più rapidamente nel nostro paese che altrove. Nella prima metà degli anni Novanta l’incidenza era ancora attorno al 3%. Il che significa che nel giro di poco più di dieci anni i matrimoni misti da noi hanno triplicato il loro peso relativo, mentre in Francia nello stesso periodo si è assistito approssimativamente a un raddoppio. Ciò riflette anche il fatto che la crescita della popolazione straniera nel nostro paese è stata negli ultimi quindici anni particolarmente consistente (è paragonabile in Europa solo a quella della Spagna).
Va inoltre considerato che oltre l’85% della presenza straniera in Italia è concentrata nelle regioni centrosettentrionali. Di conseguenza anche l’incidenza dei matrimoni misti è maggiore in tale area del paese, raggiungendo attualmente in alcune regioni (per esempio l’Emilia Romagna) livelli simili a quelli francesi. Nei confronti con i cugini d’oltralpe è anche interessante notare che a essere più bassa nel nostro paese è soprattutto la quota di donne che sposano uno straniero. Su 100 matrimoni misti, in Francia lo sposo è autoctono nel 56% dei casi, mentre in Italia lo è in quasi l’80%. Sul totale dei matrimoni solo nel 2% dei casi (e in poco meno del 3% al Nord) la combinazione è quella di sposa italiana e sposo straniero, mentre è tre volte tanto (quasi il 7%) in Francia. Riguardo invece alla combinazione opposta, la Francia prevale di poco (8,6 contro 7,6%). La situazione però si ribalta se ci si limita a considerare il centronord Italia, dove tale valore (oltre il 10%) arriva a superare nettamente la media francese. I matrimoni misti con sposo italiano sono quindi già attualmente maggiori in molte regioni d’Italia rispetto alla Francia. Rimane invece molto più bassa in tutto il territorio la propensione delle donne italiane a sposare uno straniero.
Da notare inoltre che la differenza di età tra i coniugi è molto bassa (inferiore a quella delle coppie omogame italiane, pari a 3 anni circa) nei matrimoni misti con sposa italiana, mentre è molto ampia (circa 8 anni) nelle unioni con sposo italiano. I rapporti di genere all’interno della coppia tendono in generale a essere più asimmetrici in quest’ultimo caso. Molto spesso, dal lato maschile, i matrimoni misti riescono a offrire la possibilità di costruzione di un’unione con rapporto di coppia tradizionale, sempre più difficilmente realizzabile con una donna italiana. L’asimmetria tende invece a essere meno accentuata nei matrimoni misti con sposa autoctona, quanto meno per il motivo che essa ha il vantaggio, rispetto al marito, di vivere nel suo paese di origine, con tutti i vantaggi (anche nei rapporti di forza all’interno della coppia) che ciò implica. Va comunque considerato che molto differenziati per genere sono anche i paesi di origine degli sposi. In quasi un caso su quattro gli uomini autoctoni che nel 2005 hanno formato un’unione coniugale mista hanno sposato una romena. Con la stessa frequenza (circa il 25%) i matrimoni misti con sposa autoctona hanno invece visto l’abbinamento con un nordafricano. Esiste, in generale, una maggiore tendenza degli uomini italiani a prediligere, tra le comunità immigrate più presenti, l’unione con le donne dell’Est Europa (oltre alle romene, anche ucraine, moldave e polacche) e delle donne italiane con gli uomini della sponda sud del mediterraneo (in particolare marocchini e tunisini). Ciò è in parte spiegato dal diverso rapporto demografico tra i sessi che esiste nelle varie comunità straniere. Per esempio, è molto forte la prevalenza delle donne nei flussi dall’Ucraina, mentre è netta l’eccedenza maschile per chi arriva dalla Tunisia. Interessante è il caso dell’Albania, unico paese dell’Est europeo con immigrazione di eccedenza maschile, che, infatti, contribuisce più ai matrimoni misti con donne italiane che con uomini italiani.
La diversa distribuzione per sesso non spiega però tutto. È molto rilevante in Italia la presenza di donne dall’Ecuador e dal Perù, ma ciò ha scarse ricadute nei matrimoni misti con uomini italiani. Viceversa, molto più frequente è l’unione tra italiani e brasiliane, eppure l’immigrazione dal Brasile in Italia è in generale molto bassa. Sovrarappresentate nei matrimoni misti con italiani, rispetto alla loro presenza sul nostro territorio, sono anche russe e cubane. Viceversa si osserva una sovrarappresentazione nei matrimoni misti con donne italiane – rispetto all’entità dei flussi di immigrazione – di uomini provenienti da vari paesi dell’Europa occidentale (Gran Bretagna, Germania, Usa, Francia). Ciò significa che, se è dominante il ruolo dell’immigrazione nell’aumento dei matrimoni misti in Italia, è vero anche, da un lato, che a parità di presenza e di struttura demografica i membri di alcune comunità risultano per gli italiani e le italiane più “appetibili” di altre (per caratteristiche fisiche, culturali, ecc..). D’altra parte una quota rilevante dei matrimoni misti non è conseguenza dell’immigrazione, ma si produce come conseguenza della mobilità temporanea (per studio, lavoro, piacere) degli italiani e delle italiane negli altri paesi. In alcuni casi tale mobilità è già orientata in partenza verso la ricerca in paesi selezionati (come per esempio, i viaggi turistici in Brasile, Cuba, ecc.) di un’anima gemella. In altri casi l’incontro che poi evolve verso la relazione di coppia è il frutto “accidentale” di soggiorni di studio o lavoro (in Inghilterra, Stati Uniti, ecc,), sempre più comuni nell’era della globalizzazione. Esistono poi alcune comunità più chiuse di altre: presenti in modo rilevante nel nostro paese, con incidenza relativamente alta di matrimoni tra membri della stessa etnia, ma molto bassa con le persone di altre etnie. In Italia il caso più tipico è quello della comunità cinese.
Un accenno finale va fatto all’instabilità coniugale per questo tipo di coppie. I dati Istat ci dicono che tra il 2000 e il 2005 le separazioni in Italia sono aumentate complessivamente di circa il 15%, mentre nello stesso periodo gli scioglimenti dei matrimoni misti sono cresciuti dell’85%, costituendo attualmente circa il 10% delle separazioni totali. È vero quindi che l’incremento sembra considerevole, ma è a ben vedere dello stesso ordine di grandezza della crescita della formazione di unioni miste. Tanto che, almeno allo stato attuale, è molto simile il dato sull’incidenza di matrimoni misti sul totale dei matrimoni e di scioglimenti di unioni miste sul totale delle separazioni. È quindi ancora presto per dire se i matrimoni di italiani con stranieri soffrono di un rischio significativamente maggiore di rottura rispetto alle unioni tra autoctoni. È vero però che i dati sui procedimenti di separazione con rito contenzioso segnalano un tasso di conflittualità maggiore per le coppie miste: vi ricorre il 16% contro il 12% delle coppie con coniugi entrambi italiani. Se si fa riferimento al caso francese, quello a noi più vicino e con processo di diffusione del fenomeno più avanzato e consolidato, cruciale è la questione dei figli. La riprova del successo o dell’insuccesso del confronto tra le due culture che il matrimonio misto mette a confronto, si ha soprattutto sulla loro educazione. Può quindi costituire uno dei principali fattori di crisi della coppia. Ma al tempo stesso, la presenza di bambini può accentuare la conflittualità del processo di separazione. Le ricadute negative possono quindi essere superiori rispetto alla rottura di matrimoni di coppie italiane omogame, rischiando soprattutto di perturbare il delicato e complesso percorso dei figli verso l’integrazione e l’elaborazione della propria identità multietnica.
Questo articolo è stato pubblicato dalla rivista Reset, numero 103.