Per le donne musulmane, così come per le altre, quella dell’uguaglianza è una lunga marcia. Fin dagli inizi del Ventesimo secolo, le donne musulmane, come le donne appartenenti ad altre religioni, hanno combattuto fianco a fianco per conquistare l’uguaglianza di genere all’interno delle diverse società, in Africa e in Asia. Oggi, per la ricerca dell’uguaglianza perseguita dalle donne musulmane, la famiglia costituisce l’ultima frontiera, una frontiera che si estende anche all’Occidente.Due mesi fa, in occasione della grande conferenza che si è tenuta a Kuala Lampur tra il 14 e il 17 febbraio, è nato il movimento globale Musawah per l’uguaglianza nella famiglia.
All’evento hanno partecipato duecentocinquanta studiose e attiviste in maggioranza –ma non esclusivamente- musulmane, provenienti da quarantasette Paesi. Nell’ultimo quarto di secolo, molte delle iniziative assunte a livello globale e locale (caratterizzate da lunghe storie di attivismo) si sono riversate in ciò che le donne musulmane organizzatrici della conferenza chiamano il Movimento Musawah. E’ stato scelto il termine arabo Musawah, tratto dal Corano, per un movimento, la cui lingua globale è l’inglese, che rimane ancorato alle fonti islamiche, al dibattito sui diritti umani, alle strutture costituzionali e alle realtà vissute dalle donne e dagli uomini. Il simbolismo e la sostanza del musawah, che suggeriscono la sovrapposizione di ciò che è “religioso” con ciò che è “laico”, producono un impatto potente sullo sforzo finale del lungo viaggio verso l’uguaglianza, anche all’interno di quella sfera privata in cui l’uguaglianza è rimasta più illusoria.
Storicamente, nelle vecchie società musulmane dell’Africa e dell’Asia, le donne, come le femministe, nelle loro lotte per l’uguaglianza, hanno utilizzato sia argomenti di carattere laico che religioso. Durante i primi decenni del Ventesimo secolo, le donne musulmane e le donne di altre fedi religiose hanno elaborato ciò che è stato definito “femminismo laico” e che consiste in un dibattito confuso di prese di posizione laico-nazionaliste, islamico-moderniste e umanitarie. Negli ultimi decenni del Ventesimo secolo, la donne musulmane residenti in tante località sparse per il mondo hanno sviluppato un dibattito sull’uguaglianza di genere e sulla giustizia sociale fondato sulla loro rilettura del Corano e delle altre fonti religiose. Tale dibattito è stato definito dalle donne musulmane che hanno studiato quell’ espressione di un islam egualitario, “femminismo islamico”.
Nel corso di un secolo, in conseguenza della battaglia femminista, presso la maggior parte delle società musulmane più antiche, le donne hanno conquistato un notevole livello di uguaglianza nella sfera pubblica laica ( ma non in quella religiosa, dominio delle professioni e dei rituali ecclesiastici). Nella sfera privata o familiare, le donne musulmane – o quelle sposate a musulmani- residenti in Paesi in cui vige un diritto di famiglia islamico codificato dallo Stato (definito anche Personal Status Laws), hanno dovuto affrontare una dura battaglia per ottenere anche il più lieve cambiamento. Benché le prime femministe laiche avessero utilizzato gli argomenti modernisti islamici semplicemente allo scopo di ridurre le disparità giuridiche, senza mettere fondamentalmente in discussione il modello di famiglia patriarcale, il successo da loro ottenuto è stato modesto, come è accaduto alla seconda generazione di femministe laiche, le cui rivendicazioni erano più audaci.
A partire dall’ultimo decennio del Ventesimo secolo e in quello presente, le femministe laiche hanno collaborato con quelle islamiche (che spesso non rivendicano tale identità), schierando un convincente assortimento di argomenti allo scopo di chiedere dei cambiamenti giuridici basati su un modello di famiglia ugualitario. In conseguenza di tali iniziative congiunte e di circostanze politiche favorevoli, nel 2004 si è verificata una svolta importante allorquando il diritto di famiglia marocchino, il Mudawwana, basato sul fiqh (la giurisprudenza islamica) è stato completamente rinnovato, dichiarando capifamiglia su un piano di parità sia la moglie che il marito. Due anni prima, anche in Turchia, dopo una lunga battaglia, le femministe laiche erano riuscite a far modificare il Codice Civile turco e a far riconoscere alle mogli lo status di capofamiglia al pari del marito. Il Codice Civile turco, che è un codice laico, è stato definito dagli ulema turchi “in armonia con lo spirito della sharia”.
Sia le femministe laiche che quelle islamiche si oppongono all’introduzione del diritto di famiglia musulmano in Paesi nei quali esso non sia già presente, specie tra le società a minoranza musulmana, sia presso le più antiche comunità dell’ Africa o dell’ Asia che presso le più recenti comunità musulmane presenti in Occidente. Le attiviste residenti in Occidente, come si è visto di recente in Canada, si oppongono attivamente alla sola idea di una qualsivoglia codificazione del diritto di famiglia islamico. Nel contesto di società in continuo cambiamento, ovunque le donne e gli uomini, nella loro vita educativa e lavorativa, entrano in contatto con alti livelli di uguaglianza e di interazione. Gli squilibri tra ideali, leggi e prassi egualitarie, nella sfera pubblica, e le disparità di genere presenti all’interno della famiglia, sopportate in nome della religione, stanno diventando sempre più intollerabili e sono percepite sempre più spesso come violazioni dei principi affermati dal Corano.
Negli ultimi venti anni, le donne musulmane, assieme alle altre donne interessate, come le femministe e le attiviste che si battono in favore dei diritti umani e della democrazia, hanno dato vita a reti globali, forum e associazioni che, in aggiunta alle iniziative locali, lottano per il raggiungimento dell’uguaglianza giuridica e funzionale all’interno della famiglia. La Women Living under Muslim Laws (WLUML), una rete globale la cui sede si trovava inizialmente in Francia, è stata creata a metà degli anni Ottanta, come pure la Sisters in Islam (SIS) che, pur essendo un’organizzazione malese, ha avuto fin dall’inizio un’estensione globale. Donne provenienti dal Marocco, dall’Algeria e dalla Tunisia hanno dato vita al Collective 95 Maghreb-Egalité in uno sforzo congiunto di rinnovare, nei rispettivi Paesi, il diritto di famiglia musulmano e le sue prassi.
Il progetto transnazionale Rights at Home: An Approach to the Internationalization of Human Rights in Family relations in Islamic Communities è stato attivo tra il 2001 e il 2005 presso molti Paesi a maggioranza musulmana, nel tentativo di eliminare le violazioni dei diritti umani a danno delle donne, sia nella famiglia che nella società. L’organizzazione Women’s Learning Partnership (WLP), creata nel 2000, assieme ad altri gruppi, ha utilizzato il successo riportato in Marocco indicandolo come un esempio efficace ed ha offerto un forte sostegno alla campagna Million Signatures per la riforma del diritto di famiglia in Iran che, purtroppo, attualmente sta incontrando in patria gravi difficoltà. La Women Initiative in Spiritualità and Equality (WISE), una rete globale affiliata alla American Society for Muslim Advancement (ASMA) di New York, si occupa di promuovere l’uguaglianza all’interno della famiglia. Riconoscendo la natura complessa della famiglia moderna, sempre più eterogenea dal punto di vista religioso, la WISE è sensibile ai temi dell’inclusione Le moderne tecnologie dell’informazione, l’immediata interconnessione attraverso internet, i manuali, i libri, gli articoli e gli opuscoli, sono il mezzo attraverso cui le idee e le prassi dell’uguaglianza si diffondono all’interno della famiglia composta da musulmani e da questi ultimi e i fedeli di altre religioni, raggiungendo donne appartenenti a tutti gli ambienti,dalle élite ai ceti meno elevati, residenti nelle città e nelle campagne, cercando di offrire a tutte un’opportunità.
Il movimento Musawah, di recente istituzione, rappresenta la confluenza di tante iniziative nonché il fondersi e l’ampliarsi di reti e progetti volti a realizzare, all’interno della famiglia, un rapido progresso verso l’uguaglianza. I documenti del movimento, distribuiti a Kuala Lampur e disponibili sul sito web del Musawah, parlano sia di “famiglia musulmana” che di “famiglia”. Di fronte a tanti musulmani che si uniscono a persone appartenenti ad altre religioni per formare insieme una famiglia, specialmente anche se non esclusivamente in Occidente, si impone la necessità di prestare attenzione a tali nuove realtà. Ciascuno ha interesse al raggiungimento dell’uguaglianza: nella famiglia, moglie e marito devono essere uguali e così i partner di religioni diverse. I coniugi che appartengono a religioni differenti possono sfruttare la ricchezza delle loro origini diverse per creare e alimentare l’uguaglianza all’interno della famiglia: una famiglia che non ha bisogno di essere etichettata dal punto di vista religioso e di privilegiare così una religione rispetto ad un’altra.
Accogliere con favore le donne di altre appartenenze religiose che possiedono le competenze, una comune esperienza di attiviste e una vita personale e professionale condivisa per lavorare assieme alle musulmane al centro del movimento Musawah, in un mondo in cui musulmani e fedeli di altre religioni vivono gli uni accanto agli altri, è qualcosa di vantaggioso per la ricerca dell’uguaglianza. Le reazioni registrate durante e dopo la conferenza di Kuala Lampur indicano che sono in molti a considerarla un’iniziativa auspicabile. Tale collaborazione risponde alle complessità del Ventunesimo secolo. Costruire dall’interno una sola tradizione religiosa –tenendo conto di una infinità di differenze, compresi i diversi approcci a ciò che è “laico” e ciò che è “religioso” – e allo stesso tempo lavorare attraverso le tradizioni religiose alla ricerca dell’uguaglianza nella famiglia non va a discapito della specificità o dell’inclusione, ma costituisce un arricchimento.
Margot Badran, che ha partecipato alla conferenza del Musawah tenutasi a Kuala Lampur tra il 14 e il 17 febbraio scorsi, riflette sul passato, sul presente e sul futuro. Badran è Senior Fellow presso il Prince Alwaleed ibn Talal Center for Muslim-Christian Understanding della Georgetown University ed è attualmente Fellow presso il Woodrow Wilson International Center for Scholars. E’ specializzata in studi di genere ed è una storica esperta di islam e di società islamiche. Il suo libro più recente è “Feminism in Islam: Secular and Religious Convergences”.
(Traduzione di Antonella Cesarini)