Lo si può definire un fenomeno sociale (e non solo letterario) nel mondo arabo, quello del boom dei nuovi scrittori della Penisola Araba. Di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Yemen, Oman, Bahrain e Qatar, per intenderci, dove le costrizioni sociali e religiose per molto tempo hanno condizionato fortemente lo sviluppo di varie forme artistiche. E’ in questi Paesi che negli ultimi anni si è messa in evidenza una nuova generazione di romanzieri che ha suscitato curiosità da parte degli arabi del Mediterraneo, e di riflesso anche all’estero. Abdullah Thabit, Mohammad Hassan Alwan e Yahya Amqassam dall’Arabia Saudita, Hussein Al-Abri dall’Oman e Wajdi al-Ahdal dallo Yemen adesso sono tutti finalisti di Beirut39, l’iniziativa promossa dall’Unesco che ad aprile premierà i migliori 39 autori arabi contemporanei con meno di 39 anni. E questo è un ulteriore segno di interessamento per questa produzione letteraria a livello internazionale.
A pochi fra i lettori italiani, invece, sarà sfuggita l’uscita di Le Ragazze di Riyadh della giovane saudita Rajaa Al Sanae (2005), un bestseller in arabo (pubblicato in italiano nel 2008), tradotto nelle principali lingue europee. Quella della Penisola araba è una letteratura emergente, adatta al lettore curioso, alla quale sono interessati gli arabi del Mediterraneo (che fino ad ora si sentivano culturalmente superiori) ansiosi di scoprire come vivono, pensano e scrivono i loro vicini più ricchi (a proposito, l’autrice del momento è Sarah Al Jarwan, di Abu Dhabi, con il suo Turus ilà mawlà-ia as-Sultàn, trad. Fogli per il mio signore, il Sultano, Dar al-Adab, Beirut, 2009). I numeri dello “tsunami” che ha colpito, in particolare, la nuova letteratura dall’Arabia Saudita (così ha definito il boom degli scrittori di Riad il quotidiano panarabo edito a Londra, Al Sharq Al Awsat) parlano da sé. Tra il 1950 e il 1960 nel Regno di Abdullah furono pubblicati sei romanzi, che diventarono 67 tra il 1981 e il 1990, e poi 98 nel decennio successivo, fino a raggiungere quota 226 tra il 2000 e il 2006.
Cifre esigue per un pubblico occidentale, ma importanti, in un paese dove fino a qualche decina di anni fa l’analfabetismo raggiungeva cifre alte e dove i testi religiosi sono tuttora in cima alle classifiche ufficiali delle preferenze dei lettori. Paradossale è il fatto che alcuni di questi volumi non si trovino sugli scaffali delle librerie del Regno saudita, mentre circolano clandestinamente fra appassionati lettori (la censura qui non è più la stessa che affliggeva gli scrittori della generazione precedente, tuttavia molti scrittori preferiscono pubblicare con case editrici libanesi ed egiziane per avere una maggiore circolazione). Si tratta di nuovi racconti che portano un messaggio di contestazione, parlano di schiavitù, tabù, tradizioni e superstizioni, di disgregazione sociale, di colpevolezza individuale e dei rapporti complicati fra uomo e donna. Tra gli autori sauditi più venduti in Italia – a proposito, il numero di romanzi tradotti dall’arabo in italiano supera ormai quota 200 (vedi anche www.arablit.it) – ci sono Abd al Rahman Munif (Città di sale, 2007, A est del mediterraneo, 1993, Storia di una città,1996 e Gli alberi e l’assassinio di Marzuk, 2004) i cui scritti risentono delle sue origini giordano-irachene.
Fra le scrittrici, oltre a Rajaa Al Sanae, c’è Layla al-Giuhni (Il Canto Perduto, 2007) e Siba Al Harez (Gli Altri, 2008). Sono inoltre importanti le autrici segnalate già nel 2001 nella racconta intitolata Rose d’Arabia. A novembre (2009) è uscito il volume dello scrittore, giornalista e saggista Ahmed Abodehman intitolato La Cintura, primo romanzo di un saudita scritto in francese. Fra gli autori degli Emirati Arabi Uniti, anche questi ancora poco conosciuti all’estero, ci sono quelli della raccolta Perle degli Emirati (2009), fra cui Suad Al Arimi (Il campo di Ghumran), Muhammad al-Murr (Ferma e sorridente) e Asma’ al-Zarauni (La morte delle parole), che alzano il velo su una società in cui sussistono ancora forti contraddizioni, che lasciano spazio ad un senso di ansia e angoscia e sfatano il mito di una popolazione opulenta e felice.
Di diverso spessore, infine, è la produzione letteraria dello Yemen. Il paese che ha incantato Pier Paolo Pasolini, che nel 1970 lo ha scelto come palcoscenico per il film “Il fiore delle Mille e una notte”, ha sviluppato nel XX secolo una letteratura ricca (fiction ma anche poesia), frutto di contatti con le varie culture orientali e occidentali. Si tratta di opere che finora non hanno ricevuto la dovuta attenzione da parte degli studiosi troppo concentrati sul Mediterraneo, e neanche dagli stessi Paesi arabi, forse per snobismo. Una selezione di questi scritti è stata pubblicato nella raccolta Perle dello Yemen (2009) fra cui ci sono quelli di Wajdi al-Ahdal, romanziere vincitore di numerosi premi letterari in Yemen, del poeta e narratore Abd al-Nasir Mugalli, una voce moderna i cui sforzi pionieristici hanno reso i movimenti culturali in Yemen ciò che sono oggi. Di letteratura in Yemen parla anche il numero uscito a novembre (2009) di Banipal, l’autorevole rivista inglese sulla letteratura araba che propone testi letterari, interviste agli autori e recensioni. E’ in uscita invece nei primi mesi del 2010 il romanzo della yemenita Nadia al-Kawkabani, Hubb laysa illà (trad. Nient’altro che amore), una delle personalità di spicco del panorama letterario yemenita.