Da anni Amina Wadud è in prima linea nella lotta per i diritti delle donne musulmane; non a caso l’autrice ha dedicato gran parte dei suoi studi a una rilettura del Corano in chiave femminista. Proprio per queste ragioni, Wadud viene considerata oggi una pietra angolare nel movimento delle teologhe femministe musulmane.
Il Corano e la donna, pubblicato in Indonesia nel 1992 e poi dalla Oxford University Press nel 1999 con il titolo Qur’an and Women. Rereading the Sacred Texts from a Women’s perspective, è il primo libro di Wadud e affronta la questione di una riforma dell’Islam «dall’interno», dal punto di vista femminile. L’islamologa, figlia di un prete metodista afroamericano, si è convertita all’Islam negli Usa, dove insegna e vive attualmente. Il suo grande coraggio si riconosce non solo dal libro, in cui dichiara guerra a fondamentalisti, ma anche da un atto molto provocatorio: l’autrice è stata la prima donna imam a guidare i fedeli in preghiera a New York nel 2004, sotto le minacce e le proteste di indignazione dei tradizionalisti.
Nel saggio l’autrice rende evidente che per quattordici secoli il Corano è stato letto e interpretato in gran parte e quasi esclusivamente dagli uomini; secondo Wadud una partecipazione attiva delle donne allo studio del Corano, con senso critico e logico, può contribuire a rintracciare i loro diritti che sono già contenuti nel testo. È su tali basi che l’autrice giustifica la possibilità di una lettura interpretativa del Corano dal punto di vista femminile: «Sarà il mio compito sottolineare come l’ermeneutica del Corano, inclusiva delle esperienze delle voci femminili, possa rendere maggiore giustizia, in termini di genere, al pensiero islamico e dare realizzazione a quella giustizia nella prassi musulmana».
Attenendosi ad An- Na’im, l’autrice mette in luce la differenza tra il messaggio della Mecca e quello di Medina – più solidale con le donne – e sostiene che certe pratiche disumane non solo non venivano attuate, ma spesso erano boicottate dalle società musulmane, nonostante il testo coranico le presenti come norme. Stando alla lettura di Wadud, non è la religione in sé che ha sottomesso le donne, ma è stata l’interpretazione patriarcale dei testi religiosi a limitare e soggiogare e donne sia nei ruoli pubblici che in privato.
L’autrice analizza temi e questioni legali connessi innanzitutto al diritto di famiglia, tra cui: divorzio, patriarcato, poligamia, testimonianza, eredità, autorità maschile, cura dei figli, ma anche questioni controverse come quella del velo o come i riferimenti a maltrattamenti e discriminazioni che sarebbero giustificati solo da una interpretazione letteralista di alcune sure.
La ricerca di Wadud, in sintesi, vuole trasmettere il concetto di empowerment femminile. Nella prefazione al testo, infatti, Jolanda Guardi sottolinea come i commenti di Wadud ad alcuni passaggi «problematici» del Corano abbiano dato a molte donne la possibilità e la forza di prendere la parola in pubblico e discutere, contribuendo a promuovere l’emancipazione femminile all’interno delle società arabe. Amina Wadud afferma il principio dell’uguaglianza femminile e prepara il terreno per un equo trattamento dei generi tramite il metodo di una ermeneutica che valorizzi la responsabilità morale degli individui e l’uguaglianza.
Secondo l’autrice, lo studio del Corano richiede dinamicità e impegno, dato che non prescrive una struttura sociale inamovibile e ferma nel tempo per l’uomo e per la donna; al contrario esso contiene il potenziale necessario per far avanzare la società umana verso una collaborazione tra i generi più proficua e soddisfacente rispetto a quella che oggi abbiamo di fronte. E ciò forse non vale solo per i musulmani.