La teologia infatti risulta necessariamente dalla fusione della fede biblica con la razionalità greca sulla quale si basa il cristianesimo storico già nel Nuovo Testamento. Quando infatti il Vangelo di Giovanni definisce Cristo come il Logos, tale fusione appare chiara ed evidente. L’autore di questo Vangelo esprime la convinzione che nella fede cristiana si manifesta il razionale, anzi la stessa ragione fondamentale. È questo il senso dell’apertura del quarto Vangelo: “All’inizio c’era la ragione, il logos”.
La profondità dell’essere è logos e quindi la ragione umana non è un prodotto collaterale casuale del caos irrazionale da cui tutto deriverebbe. Quindi nell’atto fondamentale del cristiano, che è l’atto di fede, si manifesta la ragione, il logos. Ecco perché non può esserci una fede senza la ragione, che la difende da ogni fondamentalismo e attitudine irrazionale. Nello stesso tempo però il contenuto rivelato, quindi l’oggetto della fede, offre alla ragione una dimensione nuova che le permette di allargare il proprio esercizio sapendo che la fede è altro dalla ragione ma non le è aliena.
C’è insomma in origine un rapporto dialettico tra fede e ragione. E la teologia si pone esattamente nel cuore di questo rapporto per innescare un circolo ermeneutico. C’è da dire che la teologia presuppone che il suo oggetto (appunto la fede) non solo non sia estraneo alla razionalità, ma anzi sia nel cuore stesso della ragione (del Logos). La teologia è pertanto l’esercizio del credente per comprendere il fondamento razionale del contenuto della fede. Più precisamente, la teologia è lo sforzo di comprendere in maniera ordinata e con regole generalmente riconosciute e fondate, che si chiamano “metodo scientifico”, il contenuto della fede. È chiaro perciò che la teologia deve far propria la questione fondamentale della verità, la stessa che rendeva ragione della filosofia greca. Ecco perché è tutta tesa alla ricerca della verità, confidando non solo nella forza della ragione, ma anche in quella della fede.