Ma la spartizione delle aree di influenza in base alle esigenze economiche e politiche delle grandi potenze portarono alla formulazione del trattato di Losanna, ratificando la spartizione del cosiddetto Kurdistan tra i vari stati confinanti. Il Kurdistan, essendo la “cerniera” a ridosso del mondi arabo, di quello iraniano, turco e slavo, è stato al centro delle dispute regionali che hanno interessato l’Iraq, Iran, Siria e Turchia. Queste contese hanno influenzato il movimento curdo, frammentandolo in numerosi partiti e compromettendo inevitabilmente la sua compattezza. Non a caso, Turchia, Iraq, Iran o Siria hanno sostenuto l’attività dei partiti curdi negli stati limitrofi, con l’intento di acquisire una posizione di predominio nell’altrui regione.
Essendo un territorio ricco di risorse naturali, soprattutto idriche e petrolifere, su cui si reggono le fragili economie araba e turca, la volontà degli stati confinanti di sponsorizzare la nascita di uno stato curdo autonomo si è sempre scontrata con esigenze economiche e strategiche. Un altro fattore che ha pesantemente contribuito a indebolire il movimento è rappresentato dalla continua diaspora del popolo curdo, causata dalle persecuzioni perpetrate nel Kurdistan. Inoltre l’estremizzazione del conflitto ha determinato la nascita di veri e propri movimenti terroristici tra cui il più importante è il Pkk.
L’asprezza della lotta si è acuita nel corso degli anni toccando punte di estrema crudeltà, come nell’ 80, quando interi villaggi curdi nel nord dell’Iraq vennero sterminati tramite l’utilizzo di armi batteriologiche. L’evoluzione degli eventi, dal trattato di Losanna in poi, hanno posto il veto definitivo all’eventualità di uno Stato curdo, poiché da allora sono stati scavati solchi profondi che difficilmente potrebbero essere colmati con un’artificiale entità statale pan-curda. Così la questione rimane aperta, come dimostra la difficile situazione nel sud est dell’anatolia.
Darwish, uno storico curdo militante, ritiene che sia necessario “trovare una strategia comune per tutto il Kurdistan”, per cui “il movimento nazionale curdo deve trovarsi unito su un programma politico in cui siano indicati con chiarezza gli obiettivi nazionali del movimento, traducendo nel suo insieme la questione come un unico problema nazionale del popolo curdo. Jasim, studioso di diritto internazionale di origine curda, sostiene invece che per districare la questione ci si debba rivolgere alla Comunità Internazionale, affinché le Grandi potenze si prendano la responsabilità di aprire un tavolo delle trattative alla presenza di tutte le parti in causa, sia i curdi sia gli stati interessati.
Ma i difficili equilibri nella regione Medio orientale offrono poco spazio all’intervento dell’ONU, che è più propensa a porre la questione sotto l’aspetto dei diritti umani. Alcune organizzazioni politiche curde se ne sono rese conto, come ebbe modo di dire l’ex leader del Pdk, Abdul Rahman Ghassemlou: “Un partito responsabile deve prefiggersi obbiettivi realizzabili. Nella situazione geopolitica in cui si trovano i curdi non è concepibile l’indipendenza. L’indipendenza esige il mutamento delle frontiere di almeno quattro Stati e in una regione così sensibile come la nostra. I curdi confondono il sogno con la politica. Ogni curdo può sognare l’indipendenza.
Noi domandiamo l’autonomia”.
Fonti: www.storico.org; Dizionario dell’islam, a cura di Massimo Campanini, Ed. Bur, 2005.