Abramo ubbidisce e solo all’ultimo momento Dio interviene per impedirgli di sacrificare nello stesso tempo figlio e futuro. In altri episodi, invece, il “padre dei credenti” si dimostra più che pusillanime. Per ben due volte chiede a sua moglie Sara di dire che è sua sorella perché teme di essere ucciso (Gen 12,10-20 e 20,1-17). Per due volte ancora ubbidisce a sua moglie che gli chiede di mandare via una rivale, Agar, la serva egizia (Gen 16 e 21). Ritroviamo quindi in Abramo gli aspetti contrastanti e ogni tanto contraddittori di tante grandi avventure umane, con i suoi slanci idealistici, ma anche le sue esitazioni e le sue erranze. Esistono infine diversi tentativi di fare di Abramo un “modello” per le generazioni future che faranno della legge la loro “patria portatile” (Heinrich Heine), ad esempio in un testo dove Dio loda il patriarca: “Perché [egli] ubbidì alla mia voce e osservò quello che gli avevo ordinato: i miei comandamenti, i miei statuti e le mie leggi” (Gen 26,5).
Il Nuovo Testamento prima e il mondo cristiano in seguito cercheranno di approfondire per conto loro alcuni aspetti della figura di Abramo. Abramo sarà, per i primi cristiani, un modello da seguire. Sarà anche, come nella tradizione ebraica posteriore, il “padre” che accoglie i credenti nel regno dei cieli. L’aspetto più originale, però, è da cercare nelle lettere di Paolo che vede in Abramo il primo credente, colui che, prima ancora di essere circonciso, ebbe fede in Dio, diventando così, secondo Paolo, padre di tutti i credenti, che siano incirconcisi o circoncisi. Per il pensiero antico quello che precede nel tempo è sempre più importante di quello che segue. La fede di Abramo (Gen 15,6) precede, nel racconto biblico, la sua circoncisione (Gen 17) e quindi essa è, per Paolo, superiore alla circoncisione. Abramo precede anche, nello stesso racconto biblico, la figura di Mosè e il dono della legge sul monte Sinai. Per lo stesso motivo di “antichità”, la fede è, sempre per Paolo, superiore all’osservanza della legge.
Nel mondo ebraico, la figura di Abramo ha avuto un immenso successo. Essa è spesso idealizzata perché, come padre, egli deve aprire tutte le vie che saranno seguite poi dai suoi discendenti. Una frase del rabbino spagnolo Nachmanide (1194-1270) riassume bene lo spirito della tradizione ebraica: “Tutto quello che accadde al padre accadde ai figli”. Nel processo di rilettura, la figura paradigmatica di Abramo perde forse in spessore umano quello che guadagna in elevazione morale. Il risultato, tuttavia, è affascinante. Nel mondo islamico assistiamo ad un fenomeno simile, in due campi principali. Da una parte, la figura di Abramo permette al mondo musulmano di uscire dalle controversie che oppongono ebrei e cristiani sul valore rispettivo o di Mosè o di Gesù: Abramo precede entrambi.
La religione musulmana si definisce, infatti, come la “religione di Abramo” (millat Ibrahim). In secondo luogo, l’esperienza fondamentale di Abramo, per l’islam, è quella della sua “scoperta” del Dio unico. Questa conversione, di cui troviamo tracce nelle tradizioni ebraiche più che nella Bibbia stessa, è nella tradizione musulmana, all’origine della sua migrazione verso la terra promessa. In seguito Abramo andrà a costruire con suo figlio Ismaele la ka`ba de La Mecca. Abramo, in riassunto, ha tanti volti che si rivelano nelle diverse tradizioni che lo assumono come “padre” ma anche, ed è forse più importante, nel costante sforzo di rilettura e di attualizzazione che ciascun gruppo offre di lui nel corso della storia. In questo modo, la figura di Abramo è nello stesso tempo una ricchezza da esplorare e una sfida per la riflessione.