E
  • Giuseppe Mantovani

    La relazione tra l’“io” e l’“altro viene trasformata dall’esperienza empatica. Nasce un nuovo “noi” in cui l’“altro” non è più al di là del confine, ma al di qua. Questo intende Geertz quando dice che le culture non sono territori separati da confini rigidi ma spazi in cui vivono “dei ‘noi’particolari in mezzo a dei ‘loro’particolari, e dei ‘loro’in mezzo a ‘noi’”. Quando l’“altro” ci interessa, ciò che lo riguarda diventa importante, lo sentiamo come nostro: l’empatia genera “un’esperienza di condivisione” (Bonino). Un brano di Vedi alla voce ‘amore’ di David Grossman ci mostra come questo avvenga.

    Un’anziana parente, zia Itka, sopravvissuta a un campo di sterminio nazista, partecipa alle nozze del protagonista. “Quando mi sono sposato con Ruth, zia Itka venne alle nozze e sul braccio si era messa un cerotto. Aveva nascosto così il numero tatuato sul braccio perchè non voleva offuscare l’allegria della festa. E io, il cuore mi si spezzava dalla pena e dalla pietà che provavo per lei (…). Per tutta la sera non riuscii a distogliere lo sguardo dal suo braccio. Sentivo come se lì, sotto quel cerottino pulito, zia Itka avesse un abisso molto profondo che ci aspirava, ci risucchiava tutti, la sala festosa, gli ospiti, l’allegria”. Con il cerotto di zia Itka la memoria del campo di sterminio irrompe nell’idillio della festa di nozze e lo stravolge, lo colloca in un contesto più ampio e in un certo senso più “vero”.

    L’empatia crea un legame che rimane e anche cresce nel tempo. La memoria della Shoah si è diffusa nell’opinione pubblica del nostro paese molti anni dopo “i fatti”, ed è cresciuta poi incessantemente, come se una volta innescata una capacità anche minima di ascolto, di condivisione, di interesse per l’ “altro”, non si potesse più ignorare ciò che era capitato, all’“altro” e a “noi” stessi”. La “ruminazione” narrativa ha tenuto in vita la memoria dei dolori e dei crimini ed ha impedito che il passato precipitasse nel buio dell’indifferenza.

    La memoria nasce dalle narrazioni, dall’ascolto e dalla condivisione: quale importante compito potrebbero svolgere i nostri media – per non parlare delle scuole e delle altre agenzie educative – se coltivassero davvero la memoria come spunto per esperienze empatiche! Di fronte a temi quali l’immigrazione, il dialogo tra culture, le relazioni tra “nord” e “sud” del mondo spesso ciò che più manca è l’empatia. “Il cuore mi si spezzava dalla pena e dalla pietà”, dice il nipote di zia Itka nel romanzo di Grossman. Chi di noi oggi oserebbe utilizzare questo linguaggio in una sede pubblica, in un articolo di giornale, in un saggio scientifico? Parlare di cuore, di pena e di pietà sembra un po’naif, forse persino indecente.