Kosovo, il referendum dei serbi dice no a Pristina
Ilaria Romano 17 febbraio 2012

Il presidente serbo Boris Tadic aveva già preso le distanze dall’iniziativa nel dicembre scorso, e definito la consultazione come dannosa e controproducente per il processo di integrazione europea e l’ottenimento dello status di candidato all’Ue. Ma la comunità serba in territorio kosovaro, una minoranza di 100mila anime, ha votato ugualmente: il 14 e il 15 febbraio, due giornate di urne aperte per 35mila aventi diritto al voto, e per un verdetto finale che nessuno si aspettava fosse differente da quel 99,74% di no al piccolo stato considerato ancora una provincia serba.

Se Tadic e il suo governo hanno criticato il voto simbolo delle frange più radicali e nazionaliste, il parlamento kosovaro ha adottato una risoluzione di condanna per questa presa di posizione di una parte della minoranza serba, definita una violazione dell’ordine costituzionale del paese. Per una volta le due rappresentanze hanno espresso un parere analogo sullo stesso evento, anche se per motivi diversi.

In realtà questo voto ha spaccato dall’interno la stessa comunità serba del Kosovo, considerato che al referendum hanno partecipato solo gli abitanti delle quattro municipalità settentrionali di Zvecan, Zubin Potok, Leposavic e Mitrovica, ma non gli abitanti delle enclavi sparse in tutto il paese.

Una sfida aperta alle istituzioni di entrambe le parti, oltre che all’Europa che pure ha condannato la consultazione. Una questione di campagna elettorale, secondo il ministro serbo Goran Bogdanovic, responsabile delle questioni del Kosovo, che ha parlato di “abuso della volontà popolare da parte di alcuni partiti politici”. Non è da escludere che la ricerca di consensi in vista delle prossime legislative in Serbia passi anche per le aree più tese del “confine molle”, e che un altro stop al processo di avvicinamento all’Europa non possa che favorire le opposizioni di Tadic, secondo i primi sondaggi già in vantaggio rispetto al Partito Democratico dell’attuale Presidente.

Di fatto dalla scorsa estate le tensioni fra serbi del nord e kosovari sono aumentate, dopo che il governo di Pristina aveva tentato di inviare i suoi poliziotti alla frontiera. E ora il risultato di questo referendum rischia di inasprire ulteriormente i rapporti, a pochi giorni dalla ripresa del negoziato, i 21 febbraio, fra le due rappresentanze. Un nuovo round di colloqui che, come annunciato dalla portavoce della diplomazia europea Maja Kocijancic, dovrà portare ad una mediazione sulle modalità di partecipazione del Kosovo alle riunioni regionali ed internazionali.

Secondo quanto riportato dall’agenzia serba Tanjug, il rappresentante di Belgrado avrebbe già comunicato la disponibilità del suo governo a riconoscere i rappresentanti della sua ex provincia come membri del Kosovo, a patto però di indicare nei documenti ufficiali di negoziato la sua scelta unilaterale di indipendenza, oltre che una nota con la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite sulla presenza internazionale civile e militare nell’area. Un’apertura parziale forse dettata proprio dai timori di nuovi rallentamenti nella strada verso l’Europa, dove la condizione di partenza per la candidatura effettiva resta la normalizzazione dei rapporti reciproci. Minoranze nazionaliste comprese.

Foto: Shkumbin (cc)