Dalla conferenza di Bonn alla visita di Roma
Lo scorso dicembre, in Germania, il presidente afghano aveva aperto la conferenza con un discorso in cui si sottolineava l’importanza delle cooperazione regionale e degli aiuti internazionali, in termini economici e di impegno nella formazione in vari settori. Dieci i miliardi di dollari da versare ogni anno, per i prossimi dieci anni, per la sicurezza e la ricostruzione, mentre intanto l’Ufficio dell’Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari ha lanciato un appello per raccogliere 437 milioni di dollari in aiuti per il 2012. Alla luce di queste esigenze, Karzai parlando di fronte i giornalisti riuniti a Palazzo Chigi ha ringraziato più volte per “i soldi dei contribuenti, così duramente guadagnati”, garanzia “per un futuro migliore”.
Da parte sua, il primo ministro ha assicurato che il trattato siglato è una conferma del lavoro svolto negli ultimi dieci anni in Afghanistan e una garanzia che anche dopo il 2014 “l’Italia non abbandonerà l’Afghanistan”, ma concentrerà i suoi sforzi nei settori civili, economici, senza abbandonare la sicurezza. In effetti, con la firma dell’accordo nella sostanza nulla o poco dovrebbe cambiare rispetto al presente. Stando a quanto sottolineato dalla stesso Monti, il plus sarà “un quadro sistematico dei vari filoni di collaborazione esistente”.
L’Italia, come spiegano alla Farnesina, ha siglato nel 2011 già quattro intese bilaterali: accordo quadro di cooperazione allo sviluppo; accordo di cooperazione di polizia in materia di prevenzione e contrasto al traffico illecito di stupefacenti, sostanze psicotrope e precursori; memorandum d’intesa sulla cooperazione politica tra i due ministeri degli Esteri e sulla cooperazione economica.
A dimostrazione che il nuovo accordo altro non è che la conferma di un impegno già preso e mai abbandonato, la Direzione Generale di Cooperazione e Sviluppo, dalla fine del 2001 al 31 dicembre 2010, ha disposto lo stanziamento di circa 516 milioni di euro per iniziative bilaterali e multilaterali sui canali ordinario ed emergenza. Resta attivo, inoltre, il programma giustizia, per la ricostruzione del sistema giudiziario afghano, cui l’Italia ha contribuito dal 2002 al 2010 con oltre 81 milioni di euro.
I settori chiave: sicurezza ed economia
“Il settore della sicurezza, dove le forze afghane stanno visibilmente aumentando nelle loro capacità operative, resterà uno dei campi di cooperazione”. Il capo del governo ha spiegato che anche dopo il ritiro “l’Italia continuerà ad assistere le forze militari e di polizia afghane tramite la formazione e l’addestramento”; un’attività svolta già ora da Carabinieri e Guardia di Finanza nell’ambito della Nato Training Mission e della Eupol, la missione di polizia dell’Unione Europea. L’addestramento significa la preparazione della polizia di frontiera e la polizia nazionale Afghan National Police (ANP) e dell’Afghan Border Police (ABP).
I militari italiani impegnati a vario titolo in Afghanistan e per l’Afghanistan sono 4200, una cifra che si raddoppia se si considerano i turnover, cioè i contingenti in preparazione per le partenze successive. Quarantaquattro di loro, finora, sono morti in teatro a Kabul e nella zona del Regional Command West (che si estende sulle quattro province di Herat, Badghis, Ghowr e Farah) sotto la responsabilità italiana. Per quel che riguarda le spese, stando a una ricerca presentata dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, tra l’ottobre del 2001 (inizio del coinvolgimento italiano, prima con Enduring freedom poi con Isaf, ndr) e il primo semestre del 2011 l’Italia avrebbe speso circa quattro miliardi di euro, l’87% dei quali per ragioni militari. Queste cifre, però, non calcolano quelle spese difficilmente quantificabili sostenute dal bilancio del Ministero della Difesa per accrescere l’efficacia dei militari italiani nel Paese. Il restante 13% è andato per progetti di ricostruzione.
Ora, stando a quanto affermato da Monti, la tendenza dovrebbe cambiare, accrescendo “la cooperazione economica con Kabul, estendendola ai settori considerati da parte afghana strategici per il decollo dell’economia e per promuovere la sua auto-sostenibilità nel medio-lungo periodo”.
Il corridoio est-ovest da Herat a Chest-i-Sharif, l’Aeroporto internazionale di Herat e la strada che collega Kabul a Bamyan sono parte di questo piano, poiché lo sviluppo delle infrastrutture è una tappa fondamentale di ogni tipo di ricostruzione. Anche in questo caso, si tratta di progetti non nuovi, ma in parte già avviati, come la strada Maidan Shar-Bamyan, la cui riabilitazione è cominciata già nel 2003, o come i lavori per ampliare lo scalo aeroportuale di Herat avviati già nel marzo 2010, che fanno parte di un disegno da 137 milioni di euro che prevede la realizzazione di nuove piste e strutture che lo renderanno il secondo scalo del Paese.
L’obiettivo dichiarato dallo stesso Karzai è di rendere il Paese accessibile agli imprenditori stranieri. Il presidente afghano si è rivolto a quelli italiani invitandoli a “trarre beneficio in Afghanistan” grazie anche allo “sfruttamento delle vaste risorse minerarie di cui gode il paese”. Il do ut des della ricostruzione passa anche per questo, ma probabilmente non tiene conto delle difficoltà in merito alla sicurezza che rendono assai oneroso operare in loco.
L’abbiamo visto già in Iraq come l’industria della ricostruzione abbia fatto fiorire anche l’industria della sicurezza privata, con i cosiddetti contractor che hanno costi però piuttosto elevati. Muoversi, vivere e lavorare in Afghanistan significa rispettare certi standard, che sono irrinunciabili.
Assistenza e bombe
Eppure, mentre si parla di sviluppo e benefici economici, in Italia si è tornata ad affacciare l’ipotesi di armare di bombe i quattro AMX in dotazione dei militari, mutando sostanzialmente il loro utilizzo difensivo. Il ministro della Difesa in carica, l’ammiraglio Di Paola lo ha detto scorso 28 gennaio (a ventiquattro ore dalla partenza del presidente afghano), dando corpo così a un progetto che il predecessore (Ignazio La Russa) non era riuscito ad attuare: “tutti i mezzi (militari, ndr) che abbiamo useranno tutte le loro capacità perché noi abbiamo il dovere, oltre che il diritto, di difendere i nostri uomini, i nostri amici afgani e i nostri alleati”. Di Paola ha voluto sottolineare che non cambieranno le “regole di ingaggio”, anche se appare chiaro che i caveat nazionali votati in Parlamento, che impongono delle limitazioni rispetto alle ROE (rules of engagment) decise dalla Nato, potrebbero subire un mutamento. A parlare di interventi e tempistiche nuovi rispetto al passato, del resto, è stato lo stesso Capo di Stato Maggiore, Giulio Abrate: “fino a ieri gli Amx avevano la possibilità di sparare solo con i cannoni di bordo. L’Italia non li usava al 100% delle potenzialità. Adesso invece i nostri uomini potranno intervenire alla pari e con una tempistica diverse”. E alla Camera e in Senato, dove si sta discutendo di rifinanziamento delle missioni all’estero, il dibattito è già esploso.