Le elezioni parlamentari in Egitto
Francesco Aloisi de Larderel 29 novembre 2011

Questa settimana ha visto l’inizio in Egitto di un processo elettorale che porterà alla scelta dei componenti delle due camere egiziane, l’Assemblea Popolare e la Shura, e si concluderà il 4 marzo 2012.

Indipendentemente da quello che sarà l’esito della consultazione elettorale, essa non sembra rappresentare una svolta, ma solamente un passo – importante ma non decisivo – nel lungo processo della transizione egiziana.

Il nodo principale rimane quello del ruolo che i militari avranno nel futuro assetto politico dell’Egitto, ed esso non verrà sciolto dalle elezioni. Infatti l’Egitto rimane (almeno fino a quando non sarà approvata una nuova Costituzione) una Repubblica presidenziale, e non parlamentare, e quindi le nuove Camere non potranno scegliere un Governo per sostituire quello (il terzo!) che si appresta a nominare il Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF). E sulla nuova Costituzione rimane l’ipoteca della “dichiarazione costituzionale” con la quale la dirigenza militare vorrebbe, insieme, garantire il carattere laico dello Stato ed il permanere della sua supremazia, anche nei nuovi assetti costituzionali del Paese.

Detto questo il risultato elettorale, che conosceremo pienamente soltanto nella prossima primavera, non manca di importanza, per due motivi.

Innanzitutto perché esso permetterà, per la prima volta, di farsi una idea più precisa del peso relativo delle forze politiche in campo. Come spesso accade nelle prime elezioni dopo la caduta di un regime autoritario, si parte da una situazione di grande frazionamento: i partiti che partecipano a queste elezioni sono una cinquantina, la maggior parte dei quali riuniti in quattro eterogenee coalizioni. Ma, naturalmente, l’attenzione sarà per i risultati che otterranno i Fratelli Musulmani, che si prevedono rilevanti, il peso che avranno gli epigoni del passato regime che si presentano sotto nuove etichette, e la forza che riusciranno ad avere i movimenti progressisti che hanno dato l’avvio all’intero processo con le manifestazioni di piazza Tahrir iniziate il 25 gennaio.

L’altro motivo di rilevanza del risultato elettorale è che i vincitori di queste elezioni dovrebbero avere un ruolo preponderante (secondo regole, però, che non sono state ancora chiarite dello SCAF) nella elaborazione della nuova Costituzione. Sarà quindi probabilmente in tale sede che avrà luogo la resa dei conti tra il potere militare ed i vincitori delle elezioni parlamentari.

In attesa dei primi risultati delle elezioni, vale forse la pena spendere due parole circa l’atmosfera in cui esse si svolgono. Il 18 novembre i Fratelli Musulmani hanno organizzato una grande manifestazione a Piazza Tahrir per protestare contro la “dichiarazione costituzionale” predisposta dallo SCAF, che essi vedono come un limite alla loro futura libertà di azione, come probabili vincitori delle elezioni. Ma essi si sono trovati davanti ad una fortissima azione repressiva condotta non dall’Esercito, ma dalle Central Security Forces (CSF) del Ministero dell’Interno. Si tratta di ingenti forze anti sommossa (oltre 300.000 unità), evidentemente molto legate al vecchio regime, il cui brutale intervento (con oltre 40 morti e centinaia di feriti) ha avuto tutta l’aria di una ennesima grave provocazione, intesa a far deragliare il processo elettorale, la cui realizzazione è effettivamente rimasta in dubbio fino all’ultimo minuto. L’effetto del feroce intervento repressivo delle CSF è stato che ai Fratelli Musulmani si sono uniti rappresentanti di tutti i partiti che per vari giorni hanno riempito piazza Tahrir, invocando una “seconda fase” della rivoluzione che – dopo la estromissione del Presidente Mubarak – prevedesse quella del Maresciallo Tantawi e dello SCAF. Le dimissioni del Governo, e l’indicazione di Kamal Ganzouri come nuovo Primo Ministro, non sono valse a calmare la folla, che esigeva invece la creazione di un Governo di Salvezza Nazionale, totalmente indipendente dai militari. Nel frattempo a piazza Tahrir è ricomparso anche l’Esercito i cui reparti si sono adoperati per separare i dimostranti dagli agenti delle Central Security Forces.

A questo punto la dirigenza dei Fratelli Musulmani – spaventata da un possibile rinvio “sine die” delle elezioni che considera un primo essenziale passo per accedere al potere – si è ritirata dalle dimostrazioni, mossa che ha permesso allo SCAF di mantenere, a fatica, il primo turno elettorale. Ma questa decisione dei Fratelli Musulmani è stata criticata come opportunistica, non solo dalle altre forze di opposizione che sono rimaste a Tahrir, ma anche all’interno della loro organizzazione, specialmente da molti giovani Fratelli che hanno invece scelto di proseguire le manifestazioni.

Se il lettore avrà l’impressione di una situazione assai confusa, avrà perfettamente ragione.

Le norme elettorali messe a punto dalla Autorità militare prevedono l’aggiudicazione di due terzi dei seggi con il sistema di lista, e di un terzo attraverso seggi attribuiti a candidature singole. Secondo gli analisti più competenti il sistema avvantaggia, per la parte assegnata con il sistema delle liste, i partiti maggiormente organizzati, capaci di presentare liste su tutto il territorio, e cioè in particolare i Fratelli Musulmani. Per i seggi dove sono previste candidature uniche sono invece favorite le personalità maggiormente radicate su territorio, cioè sopratutto esponenti del vecchio regime, (ex Governatori e amministratori locali, uomini di affari, personalità influenti a livello locale). La strada si presenta invece più in salita per gli esponenti dei numerosi, ma piccoli, partiti progressisti, dei copti, delle donne e delle minoranze, ulteriormente svantaggiati dal requisito, risalente all’epoca nasseriana, di riservare metà delle candidature a “operai e contadini”. Quindi il peso relativo delle varie formazioni partitiche in termini di voti espressi non troverà necessariamente rispondenza in termini di seggi. Ma, alla vigilia della chiusura dei seggi del primo turno elettorale, sarebbe ozioso azzardare previsioni.

Essendo questi i limiti dell’esercizio, occorrerà vedere se il processo elettorale – e sarebbe la prima volta in Egitto da molti decenni – avrà i necessari requisiti di trasparenza. L’esperienza delle ultime sessioni elettorali sotto il regime di Mubarak ha messo in evidenza come il loro svolgimento per blocchi geografici successivi, che permette di monitorare i risultati “in itinere”, facilita le interferenze sui risultati. Di questo si potrà meglio giudicare alla fine del lungo ed elaborato processo.

C’è solamente da sperare che l’intero processo elettorale mantenga un ragionevole livello di legittimità – formale e sostanziale – indispensabile per il progresso di una transizione che si conferma lunga e complicata.