Una straordinaria introduzione alla società iraniana contemporanea
Roberto Toscano 21 settembre 2011

Di Iran si parla ininterrottamente e per gli americani, senza parlare degli israeliani, esiste una vera e propria “ossessione iraniana”, mentre anche in Europa si guarda di solito all’Iran con un misto di preoccupazione e sospetto.

Il regime iraniano, in effetti, merita – volendoci basare su un’analisi di tipo politico – sia la preoccupazione che il sospetto, ma quello che si è verificato in relazione all’Iran fin dalla rivoluzione del 1979 va molto oltre la politica e ha deformato l’immagine del Paese, nel senso di semplificarla e schematizzarla, togliendo sia profondità che colore. È come se l’Iran nel suo complesso fosse stato ricoperto a forza di un chador nero, come se, paradossalmente, noi avessimo presa per buona l’immagine che il regime vuole proiettare del Paese: donne in chador, manifestanti barbuti che scandiscono “Morte all’America”, vecchi ayatollah che definiscono l’ortodossia religiosa.

Questo spiega l’enorme sorpresa causata da milioni di iraniani scesi nelle strade di Teheran per protestare contro la frode elettorale del 2009 (“Dov’è il mio voto?”). Improvvisamente il mondo si è reso conto del fatto che la società iraniana non era quella che il regime voleva farci credere, ma che era una società giovane, articolata, e una società in cui le donne erano coraggiose protagoniste della protesta.

Si tratta di una consapevolezza che può solo essere giudicata positivamente, ma che nello stesso tempo rischia di produrre l’inversione schematica di un’immagine distorta. Dopo il 2009, a giudicare da quello che ci raccontano I media, si potrebbe pensare che gli iraniani sono prevalentemente giovani, di classe media, dissidenti, laici e filo-occidentali. Siamo di nuovo su un terreno politico, magari una politica ben ispirata (dal desiderio di manifestare solidarietà nei confronti di chi chiede la democrazia in Iran), ma questo non vuol dire che ci si stia muovendo su un terreno solido, credibile.

Ma insomma, com’è la società iraniana? Per trovare una risposta non dovremmo chiedere ai dirigenti politici (siano essi iraniani, americani o europei), e anche per quanto riguarda gli esperti, sarebbe bene valutare criticamente quello che ci raccontano.

Se vogliamo sapere come è davvero la società iraniana faremmo bene ad ascoltare gli artisti. Nel caso iraniano, questo è stato vero specialmente per quanto riguarda i grandi registi cinematografici: Kiarostami, Panahi, Majidi, e di recente Farhadi, il cui ultimo film, “Una separazione”, che ha vinto l’Orso d’Argento a Berlino, ci fornisce una lettura profonda, complessa, contraddittoria e affascinante della società iraniana raccontandoci quella che in apparenza è una semplice storia privata.

La letteratura iraniana la conosciamo molto meno del cinema iraniano, ed è un peccato, perché gli scrittori iraniani potrebbero aggiungere un’altra dimensione alla nostra conoscenza, oltre che permetterci di accedere ad una produzione letteraria di alta qualità. Ecco perché sono convinto che la pubblicazione della traduzione italiana di “Osso di maiale e mani di lebbroso”, di Mostafa Mastur, romanziere iraniano contemporaneo, debba essere salutata come un avvenimento importante, e che dovrebbe essere auspicabilmente seguito da ulteriori iniziative del genere. Il libro, pubblicato da una casa editrice di recente fondazione, “Ponte 33”, costituisce una vera scoperta, e merita sia di essere letto che commentato.

Si viene immediatamente presi da uno straordinario ritmo, da una narrazione che apparentemente è spezzata, ma che al contrario è coerente e del tutto unitaria. È quasi una sceneggiatura pronta per una versione cinematografica. A me è subito venuto in mente “Short Cuts”, il film di Altman – cosa tutt’altro che sorprendente, visto che Mastur è il traduttore in lingua persiana di Raymond Carver, l’autore del testo da cui il film è stato tratto.

La vicenda si svolge in un condominio di Teheran, con coinquilini che appartengono alle più svariate condizioni sociali, a diversi orientamenti religiosi – o non religiosi, che mostrano comportamenti morali – o immorali. Ci sono famiglie conservatrici, giovani con stili di vita spericolati (alcool, droga, gravidanze accidentali), e ci sono criminali professionisti, e anche, fra I personaggi, una prostituta.

Tutto è mescolato, tutto è contraddittorio, tutto è sconcertante. I criminali commettono un atroce omicidio mentre la radio trasmette una lettura di testi religiosi (è di qui che viene il “osso di maiale e mani di lebbroso”, definizione della miseria dell’esistenza umana da parte di uno degli imam sciiti), la prostituta si innamora senza speranza, la madre – istruita e sofisticata – di un bambino malato si lascia tentare dalla superstizione e da una cura miracolosa. Il denaro è ossessivamente presente esattamente come nelle società occidentali. Lo stesso per la corruzione. Sullo sfondo, il ronzio incessante di una città rumorosa e straordinariamente inquinata. In altre parole, l’Iran, in tutte le sue contraddizioni e complessità, come possono testimoniare tutti coloro che vi hanno trascorso un tempo non breve. Eppure il risultato finale non è la disperazione, ma una sorta di sguardo compassionevole sulle debolezze umane.

Mentre approfittiamo del piacere della lettura di questo splendido lavoro, cerchiamo anche di ricavarne una migliore conoscenza dell’Iran. Una conoscenza che, fra l’altro risulta anche indispensabile per scegliere una politica corretta nei confronti del Paese. Un Paese che certo non è fatto solo di chador/ayatollah/pasdaran, ma che non è nemmeno solo quello dei tweets e dei laici filo-occidentali.

Gli scrittori, e in genere gli artisti, tendono a raccontarci la verità molto più dei politici, dei diplomatici o dei giornalisti. Ascoltiamoli. Ascoltiamo quello che Mostafa Mastur ci dice dell’Iran.