Il consenso per il partito di Erdogan (AKP) è aumentato rispetto alle elezioni politiche del 2007, ma probabilmente meno di quanto in molti si aspettassero…
Come risultato, il 49,9 per cento è ottimo – ma i seggi del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo non sono aumentati perché i risultati dei partiti di opposizione sono migliorati di molto. Questa volta per Erdogan è stata senza dubbio più amara!
Quanto hanno influito sui risultati delle elezioni la personalità e l’immagine carismatica di Erdogan?
Moltissimo. Il primo ministro Erdogan è il leader più efficiente del paese dai tempi di Kemal Ataturk. Votare per l’AKP significa votare per lui. Ma è anche vero che l’AKP è molto ben organizzato e che questo dato ha certamente influito sulla scelta degli elettori.
Rispetto al passato, Erdogan e i suoi ministri hanno mantenuto una retorica molto discreta, malgrado la vittoria comunque schiacciante dell’AKP. Non ci sono state celebrazioni esagerate…
Sono abituati a vincere, e, come abbiamo detto, la vittoria questa volta non è così spettacolare – almeno per loro – perché ora il partito del primo ministro non ha abbastanza seggi in parlamento per modificare la costituzione. Soprattutto Erdogan aveva sperato di poter creare un sistema presidenziale, ma ormai è molto improbabile che questa speranza riesca a realizzarsi.
Qual è stato il ruolo della religione nella campagna elettorale?
La religione non ha giocato un ruolo significativo. Il Partito Repubblicano del Popolo (CHP), il partito kemalista, ha improntato la propria campagna elettorale essenzialmente sulla propria identità laicista, ma in termini di voto il risultato è stato scarso. L’AKP, invece, non ha parlato di islam, ma di sviluppo e economia. Questa scelta è stata molto efficace.
L’AKP ha promesso una nuova costituzione, più riformista e inclusiva. Riuscirà a mantenere questa promessa?
Credo di sì, ma lo sforzo dovrà essere serio e onesto.
Lo scorso dicembre, il ministero uscente per l’industria e il commercio del governo AKP ha pubblicato un Documento di 226 pagine sulla “Strategia industriale della Turchia (2011-2014)”. Quanto è presa sul serio la questione economica dal nuovo governo?
Il governo AKP ha sempre dato priorità alle questioni economiche, nel senso che lo sviluppo è al primo posto della sua agenda politica. Dall’altro lato, però, è importante sottolineare che negli ultimi anni il governo ha trovato condizioni molto favorevoli da questo punto di vista, poiché una grande quantità di capitali internazionali gli ha permesso di coprire le spese e di pareggiare i disavanzi nei conti pubblici. Prima o poi vi sarà una manovra economica più significativa, ma nessuno sa quando, e nessun membro del governo ne parla molto.
Negli ultimi mesi molti rifugiati siriani hanno cominciato ad affluire in Turchia e le reazioni – almeno quelle verbali – del governo turco alla violenta repressione della popolazione da parte regime di Bashar al-Assad sono severe (benché tuttora ambigue, almeno in alcuni casi). Dall’altro lato, la Turchia sembra aver ben compreso l’importanza di evitare calcoli avventati sulla Siria, come per esempio la sopravvalutazione dell’opposizione libica da parte degli “interventisti” occidentali. Inoltre, vi sono interessi economici e strategici tra la Turchia e il suo vicino. Possibili previsioni?
A breve termine, le relazioni tra i due paesi continueranno a essere caratterizzate da una forte tensione. A lungo e medio termine, una volta cominciata la transizione in Siria, credo che assisteremo a un sostegno molto deciso della Turchia a qualsiasi governo nuovo e più democratico. Solo l’uno per cento delle esportazioni turche vanno alla Siria, ma i vincoli che legano i due paesi sono molti, a partire dalla loro prossimità, dal fatto che gran parte del mercato e degli affari siriani dipendono dalla Turchia, e dai molti siriani che visitano la Turchia.
Ritiene che il problema siriano influirà sugli obiettivi e sulle caratteristiche dell’impegno turco nel Medio Oriente?
Credo che cambierà il versante “retorico” dell’impegno turco in Medio Oriente, nel senso che la Turchia non proverà più ad adattarsi e a tollerare regimi dittatoriali come ha fatto finora. Inoltre, comincerà a preoccuparsi anche del fatto che le possibilità di guadagno in Medio Oriente sono abbastanza scarse. Se sarà saggia, la Turchia farà qualcosa per normalizzare i propri rapporti con l’Unione Europea, che sono praticamente caduti nel dimenticatoio, benché, in teoria, il paese dovrebbe essere ancora in piena fase di negoziazioni per l’adesione completa all’UE. Però, lo sforzo turco nel costruire una maggiore stabilità e interdipendenza nell’area mediorientale continuerà, poiché l’instabilità ha ripercussioni negative anche sulla Turchia.