Donne velate, uomini baffuti, negozietti alimentari e una selva di chioschi di kebab, da cui provengono dense zaffate di carne arrostita, cipolla e salse piccanti. Tutti quelli che, in visita o di passaggio a Berlino, hanno poggiato la punta dello stivale a Kreuzberg, avranno creduto inizialmente di trovarsi a Istanbul o in una qualche altra città turca. In questo distretto, un lembo d’Anatolia trapiantato nel cuore della capitale tedesca, s’ammassa buona parte della folta comunità turco-berlinese. È da qui, tra l’altro, che il kebab ha conquistato l’Europa, spanna dopo spanna, guadagnandosi il rango di cibo globale. O almeno così narra la leggenda.
Non solo turchi
Quella turca è la pattuglia straniera più grande di Berlino e dell’intera Germania. I turchi vennero negli anni ’50 e ’60, ingaggiati come Gastarbeiter (lavoratori stagionali) da aziende e fabbriche. Dovevano rimanere qualche mese e poi tornarsene in patria. Invece sono rimasti, radicandosi e moltiplicandosi. Ma a Berlino ci sono tanti altri gruppi forestieri: arabi, maghrebini, italiani, africani e genti del sudest asiatico che, alla stregua dei turchi, arrivarono qui come lavoratori stagionali, salvo poi piantare le tende. Accanto a loro, dopo l’89, con l’apertura delle frontiere, sono giunti anche russi e polacchi. Nonché gli ex jugoslavi, qui riparati al tempo delle guerre, come esuli.
Non finisce qui, però. «Negli ultimi anni si è stabilita in città una fascia di popolazione composta da cittadini provenienti dai paesi dell’Ue – spiccano gli italiani e gli spagnoli – che nelle loro patrie faticavano a trovare lavoro, che s’è insediata nei distretti più alla moda, come Prenzlauer Berg o Mitte», afferma il giornalista Pierluigi Mennitti, corrispondente di Lettera 43 da Berlino. Crocevia di lingue, alfabeti, esperienze, stili, popoli, cucine, culture e tradizioni: questa è la Berlino di oggi. La Berlino “multikulti”. Una New York in salsa europea, viene da dire. Una città-mondo.
Ma quanti sono gli stranieri presenti a Berlino? Fare i conti è complicato. «Il punto – dice Mennitti – è che è difficile distinguere tra nuova immigrazione, stranieri nati in Germania da genitori non tedeschi e Migrationshintergrund, cioè coloro “con un passato da immigrato”, come vengono chiamati gli ex Gastarbeiter. I dati del 2006 indicavano comunque che il 24% dei berlinesi (800-900mila persone, ndr) è nato da genitori non tedeschi». E dove vivono le comunità straniere? «C’è un’enorme differenza i quartieri orientali e quelli occidentali. Sono questi ultimi a registrare una maggiore presenza di stranieri e a Kreuzberg, Schonberg e Tiergarten si arriva al 40-50%. A Neukolln addirittura all’80». Ciò dipende dal fatto che fu l’ex Berlino ovest e in generale la Germania occidentale, perché ricca e perché libera, a calamitare i Gastarbeiter. Di là dal Muro, si sa, la situazione era decisamente diversa.
Tensione e integrazione
Berlino ha fama di città accogliente. Ma ci sono comunque dei problemi. L’integrazione, in alcuni casi, è lacunosa. È che Berlino e la Germania devono ancora riuscire a passare dal vecchio modello – Gastarbeiter e ius sanguinis – a quello nuovo, fondato sullo ius soli e sull’allargamento della cittadinanza. La transizione sta procedendo, ma in questa fase di “limbo” e aggiustamento dei nodi sono venuti al pettine. È la scuola a fotografarli con più precisione. «Nei quartieri a forte densità di immigrati si sono creati “piccoli ghetti”. A Neukolln è difficile insegnare la lingua tedesca. A Kreuzberg, che più di tutti rappresenta il quartiere dell’integrazione, gli ex sessantottini prendono i loro figli e li trasferiscono nelle scuole dei distretti-bene. Alcuni giovani immigrati non riescono a entrare nel mercato del lavoro, che è molto competitivo. Significa che la scuola è mancata. Il rischio è di finire al margine o nei circuiti della criminalità», racconta Mennitti.
Ultimamente, poi, un libro da quattro milioni di copie – Deutschland schafft sich ab (La Germania si abolisce) – scritto da Thilo Sarrazin, ex ministro delle finanze della città-stato di Berlino, ha suscitato un vespaio di polemiche. La tesi di Sarrazin è che l’immigrazione turca e araba distruggerà il paese, perché turchi e arabi non sono qualificati e si attaccano alle mammelle del welfare. «La posizione di Sarrazin è forte, radicale. Tant’è che la Spd ha pensato di espellerlo e la Merkel l’ha respinta. Ma il libro, sebbene sia un’esagerazione, ha fatto comunque discutere sul fatto che nella vita quotidiana l’immigrazione non sempre riesce e che il fascino di Berlino rischia di essere troppo mitizzato. Detto questo, penso che la volontà di integrarsi continui a dominare la scena e che le autorità berlinesi e tedesche non intendano affatto rinunciare a sviluppare il modello multikulti». Anche perché è inevitabile. Ci sono cose che non vanno alla perfezione, certo che sì. Ma questo accade ovunque, in tutte le città-mondo. O no?