Signor Ramelah, tutto nasce da Nasser?
Malgrado la sua avversione nei confronti dei Fratelli Musulmani, Nasser ha salvaguardato gli interessi dei musulmani a scapito dei copti. La sua politica di nazionalizzazione è stata letta dall’Occidente come collegata al socialismo. In realtà si è trattato di un’operazione mirata a colpire le ricchezze dei cristiani. Prima del colpo di stato del ’52, la ricchezza del paese era nelle mani dei copti e – fino alla loro dipartita – in quelle degli ebrei. Poi con Sadat e la sua apertura ai Fratelli Musulmani, la repressione è stata ancora più aspra. Basti pensare all’esilio di papa Shenuda III e a massacri come quello dell’ ’81 a Zawiya el Hamra, dove decine di copti morirono bruciati vivi nelle loro case.
Eppure, rispetto all’attentato di Alessandria molti musulmani, compreso il governo, hanno espresso una ferma condanna…
Si tratta di ipocrisia. E penso che papa Shenuda abbia fatto male ad accettare che il figlio di Mubarak presenziasse alle celebrazioni del Natale copto. Non dimentichiamoci che diverse settimane prima dell’attentato la polizia ha sparato contro i copti che protestavano per il blocco della costruzione di una chiesa a Giza. L’autorità locale voleva che non fossero messe croci, campanili o altri elementi architettonici che riconducessero a una chiesa. Loro non hanno accettato il compromesso e, a mio avviso, hanno fatto bene.
Quindi lei vede un collegamento tra politica del governo e l’attentato di capodanno?
La vicenda di Alessandria non è nata dal nulla. Da tempo, su diversi siti fondamentalisti in lingua araba erano presenti pesanti minacce e inviti a colpire i copti in Egitto. Dall”81 il governo egiziano ha disposto una legge sullo stato d’emergenza per salvaguardare il governo dai terroristi. Ma se non riesce nemmeno a proteggere chi prega in chiesa, allora significa che qualcosa gli è sfuggito di mano.
Come sono adesso i rapporti tra cristiani e musulmani?
Non sono mai stati così esasperati. Prima c’era un’alternanza di odio e amore, di rispetto e diffidenza. Ma ora le cose si sono aggravate, perché un numero sempre crescente di musulmani tende a tagliare i ponti coi cristiani. Oltretutto, stampa e televisioni del regime pubblicano e trasmettono programmi dove si riscontrano messaggi di odio verso i copti.
Secondo Lei non c’è nessuna responsabilità da parte dei copti nell’innalzare questo muro tra le due comunità?
Non dubito che se un copto può scegliere dove fare la spesa o con chi lavorare, preferirà un cristiano a un musulmano. Ma da qui a pensare che la nostra comunità si possa spingere a fare quello che viene fatto loro, non mi sembra possibile e, in ogni caso, non credo che il governo egiziano lo permetterebbe.
Lei si sente più copto o egiziano?
Dire copto ed egiziano è la stessa cosa. Si tratta di una parola di origine greca (aiguptos) che poi è stata arabizzata e vuol dire, appunto, egiziano. Direi che i copti sono i veri egiziani.
Quindi rivendica un’egizianità esclusiva dei copti?
I copti si sentono egiziani al cento per cento. Gli egiziani musulmani, invece, si considerano parte della umma (la comunità islamica). Alcuni anni fa, un dirigente dei Fratelli Musulmani dichiarò che sarebbe stato disposto ad accettare un afghano musulmano come leader piuttosto che un copto egiziano.
Secondo Lei, riforme in senso laico di alcuni aspetti del diritto civile, come il matrimonio, potrebbero aiutare il superamento delle divisioni confessionali?
Io sono convinto di sì, ma non basta soltanto riformare istituti come il matrimonio: ci vorrebbe un cambiamento molto più esteso, di carattere culturale. L’anno scorso mi sono procurato dei libri egiziani delle scuole elementari e medie e sono rimasto sorpreso dalla quantità di citazioni coraniche. Quando ho studiato io, negli anni ’60, c’era tutt’altro nei libri.
Quindi, nulla di promettente all’orizzonte per i copti…
Io penso che dopo una serie di stragi e attentati di questo tipo, la comunità copta si sentirà sempre meno protetta da un governo che non vuole o che non riesce a controllare queste derive estremiste. E alla fine si chiuderà in se stessa, sentendosi sempre meno parte della società.