Un’iniziativa che va contro la nostra cultura
Rosmarie Zapfl-Helbling 1 dicembre 2010

Rosmarie Zapfl-Helbling è presidente di «Alliance F» (Alliance de sociétés féminines suisses). È stata membro del Consiglio nazionale svizzero e vice-presidente del comitato per le uguali opportunità dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.

L’Iniziativa per il divieto dei minareti nasce con la pretesa di tutelare la nostra cultura. Ma i princìpi fondamentali della nostra cultura sono innanzitutto la libertà di religione e il rispetto di valori come la solidarietà, la diversità, la democrazia e la legalità. L’arbitrarietà e la discriminazione che hanno contrassegnato l’iniziativa sono totalmente contrarie ai valori svizzeri, e costituiscono atteggiamenti che non intendiamo coltivare e che condanniamo in altri paesi. Il dibattito che l’iniziativa ha suscitato è stato caratterizzato da una campagna d’odio e dall’indisponibilità a capire chi professa una fede diversa. Spesso mi sembra di tornare a cinquant’anni fa, quando nelle comunità cattoliche in Svizzera i protestanti erano oggetto di discriminazioni, e lo stesso accadeva – a parti invertite – nelle città e nei villaggi a maggioranza protestante.

L’iniziativa popolare «Contro la Costruzione di Minareti» è in contrasto con i diritti umani fondamentali e mette a repentaglio la pace religiosa. La cosa che ho trovato più vergognosa in questa campagna è stata l’immagine su un manifesto che, accanto alle torri-minareto, mostrava una donna avvolta da un burqa. L’obiettivo era questo: fomentare paure usando esattamente ciò che l’iniziativa si prefiggeva di vietare. Mettere in relazione la costruzione di minareti e l’uso del burqa è qualcosa che si avvicina pericolosamente a una bugia nei confronti dell’elettore. L’iniziativa non si rivolgeva contro i minareti, ma contro un’intera religione. E questo non è degno di un partito di governo. È stata una situazione imbarazzante che ha dimostrato ancora una volta come molti dei nostri concittadini si facciano facilmente manipolare da qualche agitatore, aiutandolo a conquistare voti.

L’approvazione di questa iniziativa segna un passo indietro. La Costituzione federale del 1999 ha rimosso qualsiasi discriminazione tra il cristianesimo e altre fedi. La stessa iniziativa, inoltre, viola l’autorità cantonale e dei comuni: la definizione dei rapporti tra Stato e Chiesa ricade nell’ambito di competenza dei cantoni, mentre i regolamenti edilizi sono leggi comunali. Dobbiamo ora attendere l’esito delle prime azioni legali e relative sentenze, ma è assai probabile che il caso venga portato dinanzi alla Corte europea dei diritti umani. Subito dopo l’approvazione del divieto dei minareti è stato lanciato il dibattito sulla messa al bando del burqa.

Come sostenitrice dei diritti umani e delle donne, ho espresso chiaramente la mia posizione: sono contraria al burqa. Il divieto del burqa non tocca la religione in quanto tale, anche se costituisce una discriminazione contro la libertà delle donne. È possibile che, per qualche tempo, il foulard offra una sorta di protezione a molte musulmane. Se una donna lo porta di sua spontanea volontà, non perché la famiglia o il marito la costringono a farlo, va bene. Il velo che copre il volto, contrariamente al foulard, non è un obbligo imposto dalla legge religiosa islamica. Le scuole giuridiche islamiche concordano sul fatto che i capelli vadano coperti, ma non il volto e le mani.

Se in futuro vogliamo continuare a convivere pacificamente in Svizzera, in Europa e in tutto il mondo siamo chiamati a uno sforzo di comprensione; comprensione della cultura, della religione e del comportamento degli altri esseri umani che professano una fede diversa. La discriminazione in base al sesso, la violenza contro le donne e il disprezzo dei diritti umani non devono essere tollerati.

Questo è il testo del paper presentato dall’autrice alla conferenza “Dopo il divieto dei minareti: la società aperta e l’Islam”, organizzata da ResetDoc e University Research Priority Program (Urpp) Asia and Europe, che si è tenuta all’Università di Zurigo mercoledì 17 novembre 2010.

Traduzione di Enrico Del Sero