Fra i linguaggi universali, quello della musica è indubbiamente uno dei più potenti, se non il più potente. E, a differenza di altre forme espressive, il suo perpetuarsi, laddove si tratti di brani celebri, non è mai identico a sé stesso, bensì in continuo divenire: è innovazione interpretativa, è interpretazione del proprio sentire, è riflesso della propria epoca, del proprio contesto storico e culturale. Soprattutto, la musica è da sempre “libertà di espressione”, strumento di dialogo e di conoscenza delle diverse identità culturali poiché espressione della propria tradizione e della propria cultura, è un veicolo che consente talvolta di fuggire da contesti repressivi (soprattutto quando è eccellenza) ed è strumento per la promozione e la diffusione della cultura di pace. La persona e la sua espressione artistica formano un tutt’uno. La musica è patrimonio culturale e ha un importantissimo valore storico, documentario e scientifico: essa è testimonianza delle diverse culture e serba in sé il proprio messaggio, etico e culturale.
Si è soliti dire che la “globalizzazione” ha conferito alla cultura quella dimensione universale che le spetta: ma forse, per la musica, il suo essere globale è caratteristica implicita. “Se Chopin appartiene alla Polonia, la sua Patria l’ha offerto al mondo”, scriveva Nino Salvaneschi, e questa frase, pronunciata tanto tempo fa, sembra precorrere, in questo 2010, l’“era della globalizzazione”. Si celebra infatti quest’anno il bicentenario della nascita di Fryderyk Chopin, un grande europeo, considerato il più grande compositore polacco e uno dei più grandi pianisti di tutti i tempi, e l’intero mondo della musica e, più in generale, della cultura, si è preparato per festeggiare quest’avvenimento. La musica di Chopin è profondamente influenzata dal “dialetto musicale” polacco, la musica popolare del suo paese, ma le sue composizioni traspongono sul pianoforte anche il respiro e il fraseggio del melodramma italiano dell’epoca, in particolare quello del Bellini. La musica di Chopin è dunque legata alla tradizione, è espressione del suo sentire, ma è già “grandemente contaminata”.
Chopin nacque in Polonia a Zelazowa Wola il 1º marzo 1810: trascorse la sua vita in parte in Polonia e in parte in Francia, dove si trasferì a circa vent’anni, soggiornando in diverse capitali europee. In particolare, durante un suo soggiorno a Vienna, Chopin apprese con dolore le notizie che gli giunsero dalla Polonia circa la Rivolta di Novembre, nel 1830. Non ritornerà mai più in patria. Le composizioni di questo periodo riflettono profondamente il suo stato d’animo: sono drammatiche e liriche e sostituiscono man mano la gioia popolare e il sentimentalismo che avevano caratterizzato le sue opere precedenti. Chopin morirà a Parigi, il 17 ottobre 1849: sepolto a Parigi, il suo cuore è conservato a Varsavia, nella Chiesa di Santa Croce.
Parigi, capitale della cultura europea, gli consentì di intrattenere contatti con i maggiori musicisti, scrittori e artisti dell’epoca. Nella sua musica, dedicata completamente al pianoforte, sono presenti tutti i maggiori elementi del romanticismo. In essa si ritrovano il senso della patria e della nazione, espresso nello “studio”, comunemente chiamato La Caduta di Varsavia, perché ispirato a Chopin dal dolore per la conquista della città da parte dei Russi nel 1831 per poi trovare negli stessi, i temi tradizionali e popolari, come Polacche e Mazurche , due tipiche danze della Polonia. I famosi Notturni gli hanno infine valso la definizione del “Poeta del Pianoforte” grazie al quale egli poté esprimere in maniera compiuta il suo essere “uomo e patriota”.
E’ interessante accennare al periodo della “Rivolta di Novembre” poiché ci fornisce un quadro estremamente interessante, e per certi versi attuale, del contesto storico e culturale di quegli anni, che tanto furono determinanti per la vita di Chopin. Il periodo che va dal 1831 al 1870, è definito infatti il periodo della “Grande Emigrazione” polacca. Si trattò prevalentemente di un’emigrazione dell’elite polacca dalla madrepatria e la maggior parte degli emigranti politici scelsero la Francia. A partire dalla fine del XVIII secolo, il ruolo principale nella vita politica polacca fu pertanto svolto da persone che conducevano le propria vita al di fuori della Polonia come emigrati. La loro scelta di emigrare era conseguenza delle spartizioni della Polonia, che divisero completamente le terre della Confederazione Polacco-Lituana tra Impero russo, Regno di Prussia e Monarchia asburgica d’Austria. La Polonia cessò infatti di esistere come entità politica indipendente. Dunque l’emigrazione, la progressiva e graduale soppressione delle libertà democratiche, la violazione della Costituzione polacca – una delle più progredite nell’Europa dell’epoca – ci portano a fare alcune riflessioni circa similitudini con situazioni che, mutatis mutandis, sembrano ritrovarsi nel nostro tempo presente. E ancora di più a sottolineare come la musica e dunque l’espressione artistica possano essere strumenti di democrazia reale.
Nel Preambolo della Costituzione dell’UNESCO si dice: “Poiché le guerre iniziano nelle menti degli uomini, è nelle menti degli uomini che le difese della pace devono essere costruite”. E forse, la musica, può essere uno degli strumenti che, con la sua potenza, può aiutare a forgiare le nostre menti. La musica non conosce frontiere e ha il potenziale per sollevare gli animi al di sopra della distruzione. La musica è “contaminazione” per eccellenza, è veicolo di unione, in grado di creare ponti di cooperazione e comprensione reciproca ed è un mezzo importante per identificare, definire e promuovere i valori comuni necessari al raggiungimento del benessere, del rispetto e della dignità.
Economista – Esperto in Strategie Internazionali e U.E.