È una storia, quella slovena, tipica delle marche di frontiera. Dei crocevia tra varie culture, dei cuscinetti messi lì, tra un impero e un altro. Tagliati fuori dai processi di formazione degli stati-nazione in Europa, alla mercè delle potenze del vecchio continente, soffocati dalla “legge del più forte”. Schiacciati dalla politica delle armi, ma ostinati a utilizzare fino in fondo l’arma della politica. Con pazienza, perseveranza. Un passo dietro l’altro, senza mai affrettare eccessivamente l’incedere. La Slovenia inizia a prendersi sul serio nel 1848. Fu in quell’anno che il paese alpino, sulla scia dei fermenti liberali che si diffusero a macchia d’olio su tutto il continente e scoperchiarono la pentola dei sentimenti nazionali, incominciò a plasmare un proprio idem sentire della patria.
Si costituì, grazie al dinamismo delle elite intellettuali, laiche e cattoliche, il Movimento nazionale sloveno. Il quale, sebbene fedele alla corona d’Austria, rappresentò il primo fruttuoso tentativo di formulare un “decalogo” dell’identità nazionale slovena e l’anno zero della lunga marcia verso l’indipendenza, che l’accademico tedesco Joachim Hösler racconta, passo dopo passo, personaggio dopo personaggio e fatto dopo fatto, in Slovenia, storia di una giovane identità europea (304 pp., 20 euro, Beit Casa editrice, Trieste 2008). Il libro è scorrevole, puntiglioso e ben articolato. Forse, come spiega Joze Pirjevec, storico sloveno di Trieste, autore della postfazione all’opera di Hösler, leggermente condizionato da una lente tedesca. Beninteso, non significa che l’autore “germanizzi” la storia della repubblica alpina. È solo, nient’altro che questo, una questione che caratterizza un po’ tutti coloro che studiano i Balcani dall’esterno e che a volte glissano, involontariamente, su certe dinamiche e certi umori classici della regione.
Ma, detto questo, c’è da sottolineare e ribadire che quello edito da Beit è davvero un buon libro. Si parte da molto lontano, dall’arrivo degli slavi nei Balcani. Si prosegue con le epoche carolingia e post-carolingia, si descrive la cristianizzazione della regione, rimasta legata all’area cattolica, si arriva fino all’avvento degli Asburgo, alla creazione delle province di Stiria, Carinzia e Carniola, i tre territori della corona in cui gli sloveni erano “disseminati”. La storia della Slovenia durante il lungo periodo asburgico (iniziato nel XIII secolo) è una storia di incroci linguistici e culturali con le popolazioni che componevano, in quell’area alpino-litoranea, il grande impero austriaco. I rapporti con gli italiani, i croati e la popolazione di lingua tedesca si intersecano con le dinamiche tra centro e periferia e danno un quadro preciso e veritiero della storia della corona asburgica, di quella porzione di Europa dove popoli e fedi, culture e miti, convissero più o meno per lunghi secoli, fino a quando il grande contenitore di genti iniziò a sfasciarsi, complici gli anacronismi del centralismo viennese e i guizzi patriottici delle periferie.
La Grande Guerra cambierà tutto. Decreterà la morte del vecchio e malato impero, la nascita di nuovi stati nell’est e il battesimo della prima Jugoslavia, in cui sloveni, croati e serbi si associarono in nome del panslavismo e della rupture definitiva con la storia e i retaggi dei due grandi imperi che si erano contesi i Balcani: quello austriaco nella fascia settentrionale dell’oltreadriatico e quello turco in quella meridionale. Verrà poi, finita la guerra del ’14-’18, la seconda Jugoslavia, quella socialista. Infine, terminerà rovinosamente anche quell’esperienza. Solo allora la Slovenia diventerà uno stato indipendente, dotato di tutti i crismi delle nazioni sovrane. Non più marca di frontiera, né provincia asburgica, né stato federale della Jugoslavia. Slovenia e basta. Il resto è cosa dei nostri giorni: l’ingresso nell’Unione europea e quello nella Nato, quasi simultanei. Il “modello” sloveno, come esperienza di crescita economica e progresso civile, un processo di nation building di grande successo, capace di rappresentare un caso di scuola.
Slovenia, storia di una giovane identità europea è anche un ottimo strumento per capire e conoscere meglio i cardini, le peculiarità e le caratteristiche di un paese che confina con l’Italia. Ma che dagli italiani è ignorato, complice, in buona misura, la colpevole disattenzione delle istituzioni e la tendenza a rifuggire dalla necessità di ridefinire la storia della nostra frontiera orientale, di capire le ragioni degli altri (gli sloveni) e le recriminazioni sugli spostamenti di frontiera e popolazioni. E il fatto che l’italiana Beit si affidi a uno storico tedesco per diffondere un libro sulla Slovenia e un’azienda editrice slovena traduca un libro sulla storia italiana scritto da un esperto francese indica, come sottolineato dal Piccolo di Trieste nella recensione al volume della Beit, che fino a quando ci saranno “mediazioni” esterne sulla storia i conti, i dissapori e i contenziosi culturali e storici tra Roma e Lubiana non verranno regolati. Ed è un peccato. Il libro di Hösler è comunque un bel passo in avanti, oltre che un’iniziativa coraggiosa di una casa editrice nuova di zecca che punta a farci conoscere, attraverso una serie dedicata alla storia dei paesi dell’est – dopo la Slovenia verranno l’Ucraina, la Polonia altri – quella parte dell’Europa dalla quale siamo stati allontanati da quarant’anni di comunismo, ma anche dalla nostra pigrizia. Dalla mancata curiosità di conoscere i nostri nuovi “vicini”, amalgamatasi rapidamente in Europa, ma altrettanto rapidamente dimenticati.