L’anonima narratrice racconta, attraverso la finzione di mail inviate attraverso una newsletter, la storia di Qamra, Sadim, Lamis e Michelle, quattro giovani qualsiasi della capitale, alle prese con l’immaturità dei loro coetanei maschietti, i pregiudizi e le chiacchiere degli adulti, la prigione sociale in cui vivono. Il quadro che ne esce è quello di un’Arabia Saudita che non si fa intrappolare né nello stereotipo qaedista né in quello esotico-orientalista. E’ il paese profondo che parla, attraverso la voce di una donna. Una donna decisamente critica verso la mentalità del proprio paese, ma allo stesso tempo “orgogliosa della propria nazionalità”, e rispettosa della religione islamica. Le frecciate verso la società saudita sono infinite. Il catalogo dell’ingiustizie subite dalle donne è interminabile. L’uomo è un muro, “lo terrorizza la sola idea di dover seguire un cammino diverso da quello del padre, dello zio e, prima ancora, del nonno”. E ancora: “Gli uomini sono passivi e deboli. Sono schiavi dei costumi reazionari e delle tradizioni del passato. Sono solo pedine che le famiglie muovono sulla scacchiera”. A scuola si perquisiscono a sorpresa gli studenti in cerca di “oggetti proibiti” come diari, profumi, romanzi, video. Il matrimonio è come un’anguria, si sa com’e solo aprendolo (visto che i fidanzati non si possono praticamente frequentare prima).
Rajaa non ha tabù, ma i tabù li affronta con una vena di comicità che rendono questo libro ancor più rivoluzionario: lo sberleffo di un’innocente seppellisce l’incomprensibile chiusura di una società piena di complessi e paura. L’autrice accenna senza timore alle ingiustizie subite dalla minoranza sciita, alla diffusione dell’omosessualità, al fascino dell’Occidente. La normalità, quella che permette a un essere umano di qualsiasi cultura di immedesimarsi nel racconto, sta negli affetti e nei sentimenti dei protagonisti, come quelli legati agli sguardi e ai modi dei corteggiamenti. Dietro al velo dell’anti-occidentalismo, le ragazze guardano film americani come “Il professore matto” o telefilm come “Sex and the City”, sognano di studiare negli Usa, festeggiano San Valentino, trovano la loro liberazione a Londra o a San Francisco.
La trama non è molto avvincente, il libro a volte è un po’ Harmony, e il lettore sarà portato a confondersi tra le protagoniste, le cui storie alla fine si assomigliano parecchio. Ma la lettura è piacevole, e interessante. L’Arabia Saudita sarà anche un paese-prigione, in cui “l’amore è trattato come un ospite indesiderato”, ma è un paese in cui lo spirito della giovane Rajaa Alsanea non è stato ancora assassinato. Ventisei anni, Rajaa sta perfezionando i suoi studi a Chicago. L’America l’apprezza, tanto che il New York Times ha pubblicato un suo articolo sulle donne saudite nel giorno di San Valentino. Sul suo scarno sito, Rajaa giura che presto tornerà nel suo paese. Sogna di essere la Luther King delle donne saudite, e – scherzando – si prenota per il premio Nobel del 2015. Sogni difficili, ma non si sa mai. Buona fortuna.