“Il governo si è giustificato col fatto che non poteva proteggere la mia incolumità dal momento che nel mio paese sono stato dichiarato apostata. La cosa ironica è che ne erano al corrente anche prima di inviarmi il visto via fax”, afferma con sarcasmo a Resetdoc l’intellettuale, secondo il quale la vicenda è stata il frutto di un gioco politico. “La revoca del mio visto – aggiunge – è stato il prezzo per evitare una crisi di governo. I parlamentari islamisti che inizialmente minacciavano di muoversi contro l’esecutivo, il giorno dopo hanno votato a favore”. In effetti, diversi membri dell’Assemblea Nazionale si sono congratulati col ministro dell’interno Jaber Al-Khalid Al-Sabah per aver inserito il pensatore egiziano nella lista delle persone non gradite al paese. E le lodi sono arrivate anche fuori dal parlamento. Per l’islamista radicale Mubarak al Bathali, ad esempio, il governo ha evitato l’ingresso di una persona “sporca, che non ha il diritto di venire a rovinare il paese”. Mentre dalle colonne del Watan Daily, l’editorialista Abdullah Khalaf ha definito Abu Zayd un sobillatore e un immorale.
Il diritto di parola è stato parzialmente restituito ad Abu Zayd con una conferenza telefonica organizzata dalla ong indipendente Tanwir, che lo aveva inizialmente invitato in Kuwait. “Ho tentato di parlare dei sintomi della decadenza del pensiero islamico contemporaneo – racconta – che si traducono nel rifiuto dell’altro, vuoi che si tratti del non musulmano, dell’appartenente all’altro sesso (le donne), dell’aderente a un altro gruppo (ad esempio sunnita contro sciita), o di chi semplicemente esprime idee diverse”. Quest’ultimo è il tipo di rifiuto che l’intellettuale egiziano ha provato sulla propria pelle. Analizzare il Corano come un testo in cui la parola di Dio è stata mediata dall’uomo e collocarlo, quindi, nella sua dimensione storica, socio-linguistica e culturale, è infatti bastato ad Abu Zayd per attirarsi l’accusa di apostasia da parte di influenti esponenti religiosi egiziani. Accuse confermate dalla corte d’appello del Cairo, che nel 1995 ha dichiarato nullo il suo matrimonio (perché un apostata non può essere sposato a una donna musulmana) e lo ha costretto all’esilio in Olanda, dove tutt’ora vive e insegna.
Dopo aver analizzato i sintomi della decadenza del pensiero islamico, Abu Zayd ha tracciato i caratteri della “malattia” che sta riducendo l’Islam a “una serie di regole che si limitano a stabilire il lecito e l’illecito, in contrasto con la ricchezza dell’Islam storico, in cui la visione legale del mondo si accompagnava a quella filosofica, teologica, mistica”. Aseel al Awadhi, una delle quattro donne che hanno fatto per la prima volta ingresso in parlamento alle elezioni dello scorso maggio, ha definito il trattamento riservato dalle autorità kuwaitiane ad Abu Zayd un insulto al prestigio e alla reputazione dello Stato e un affronto alla libertà d’espressione. Mentre Lulwa Al-Mulla, presidente della Women’s Cultural Social Society, ha detto che negare il suo ingresso nel paese è stato un atto di terrorismo intellettuale.
Ma nonostante una parte del piccolo emirato, comprese le donne, si sia schierata a suo favore, Abu Zayd non riesce a vedere una luce in fondo al tunnel: “Gli Islamisti in tutto il mondo arabo sono contro le donne. La loro è una visione medievale dell’islam e la loro egemonia è ovunque. Il Kuwait non fa eccezione”.
Vai all’articolo che Abu Zayd ha scritto per Resetdoc, “La legge talebana non è quella del Corano”